Caro direttore,
il forte dibattito accesosi nei giorni scordi sul tema esenzione o pagamento dell’Imu per gli stabili di proprietà della Chiesa solo apparentemente ha preso in considerazione il settore delle scuole paritarie.
Il focus del problema consiste, come abbiamo letto sui media, sulla decisione di far pagare o meno l’Ici sugli immobili di proprietà della Chiesa. Il Governo ha trovato la giusta decisione, condivisa dalla pressoché totalità delle forze politiche, di far pagare il contributo (nelle nuova forma di imposizione comunale Imu) solo per gli immobili utilizzati dalla Chiesa prevalentemente per fini commerciali.
A questo punto è sorta la preoccupazione delle scuole cattoliche che utilizzano immobili di proprietà ecclesiastica.
Una giusta preoccupazione basata non solo sull’aspetto squisitamente economico relativo al grave aumento di costi che l’imposizione comporterebbe ai bilanci delle scuole, ma anche all’effettivo rischio che l’attività svolta dalle scuole fosse considerata “commerciale” dal Governo in ossequio ad una sentenza della Corte di Cassazione che recita: “La Suprema Corte di Cassazione ha già chiarito che ogni attività sociale, economicamente rilevante, è da considerarsi imprenditoriale (quindi commerciale o industriale) quando è effettuata in cambio di un corrispettivo, a prescindere dalle buone e umanitarie finalità della gestione. Sono escluse le opere di culto, di assistenza e di mutuo soccorso offerte a titolo gratuito“. (sezione lavoro, 14 giugno 1994, n. 5766).
Questa preoccupazione non può che aumentare dopo aver sentito l’intervento del presidente Monti in Commissione al Senato, intervento nel quale ha ribadito che l’esenzione sarà concessa alle scuole che svolgono la loro attività in modo “non commerciale”.
Questo risultato e queste preoccupazioni sono, a mio avviso, la inevitabile conseguenza di un approccio sbagliato al problema.
Ancora una volta la scuola paritaria “è figlia di un dio minore” e non entra nel dibattito per la sua identità, ma solo quale interazione parziale legata ad una soluzione politica che ha come riferimento principale un problema diverso.
Questo approccio è foriero di una soluzione che è una non-soluzione. L’approccio corretto che tiene in considerazione quanto sancito dalla legge 62/2000 si deve fondare sulla richiesta che vengano esentati dall’Imu tutti gli immobili che vengono utilizzati per il servizio di istruzione e formazione da parte delle istituzioni facenti parte del Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione, indipendentemente che siano o meno beni ecclesiastici, che siano profit o no profit, che siano statali o paritarie poiché tutte offrono un servizio pubblico ritenuto fondamentale dalla nostra Carta costituzionale.
Questo deve essere il focus della richiesta, il focus del dibattito. Dobbiamo far valere la nostra identità, il valore del servizio pubblico che svolgiamo, il risparmio economico di cui già gode lo Stato grazie all’attività che svolgiamo in regime di sussidiarietà a complemento di servizi non offerti dallo Stato stesso (vedi ad esempio le scuole dell’infanzia).
Non perdiamo un’altra occasione per chiarire la nostra identità e far valere i nostri diritti, frutto di una legge che ci è costata una lunga, difficile e faticosa battaglia democratica, ma sopratutto del servizio che offriamo quotidianamente ai cittadini del nostro Paese.
Il giusto problema del no profit va considerato su un piano diverso. La legge 62/2000, lo considera, come ricordava l’Agesc nel suo recente comunicato, ed è urgente che si arrivi ad una regolamentazione che garantisca alle scuole in regime no profit gli stessi diritti e le stesse agevolazioni di carattere economico e fiscale di cui godono realtà no profit di altri settori, ma non va intersecato o confuso con la scuola paritaria, sarebbe un disconoscere la sua vera identità con conseguenti danni e difficoltà per le battaglie che ancora ci attendono per raggiungere l’agognata e doverosa parità economica.
Mollare ora non vuol dire fermarsi, ma fare un passo indietro e dare spazio e fiato ai nostri detrattori. La scuola paritaria ha bisogno di tutto, tranne che di questo.