A qualcuno piace “vincere facile”. Allo Stato italiano, quando si tratta di istruzione, sicuramente piace. E’ rimbalzata su diversi organi di stampa, nei giorni scorsi, l’“incredibile” notizia che la stragrande maggioranza degli studenti italiani si iscrive alle scuole superiori statali.
Ci si chiede per quale motivo, quest’anno, si sia deciso di dare rilievo ad una non-notizia, tanto banale quanto ovvia; in Italia, infatti, è risaputo che la maggioranza degli alunni si iscrive alla scuola statale non tanto per libera scelta, quanto perché l’alternativa esistente non è economicamente paritetica.
Nel nostro paese, si sa, non esiste una vera parità scolastica, e dunque le famiglie sono costrette a iscrivere i figli alla scuola statale; eppure – come dimostra una documentata ricerca presentata nell’ottobre del 2010 al Senato da alcuni docenti universitari (Scegliere la scuola: orientamenti e caratteristiche dei genitori, di Tommaso Agasisti e Luisa Ribolzi) – in molti casi (circa il 12%) ne farebbero volentieri a meno, orientandosi invece sulle scuole paritarie qualora esistessero adeguate forme di sostegno finanziario alla libertà di scelta educativa.
Ha senso comparare dei risultati ottenuti partendo da situazioni di partenza tanto differenti?
La scuola statale è praticamente gratuita, mentre la paritaria (paritaria?) richiede il pagamento di una retta, talvolta al di sopra delle capacità economiche della famiglia o comunque tale da generare una rinuncia di fronte alla prospettiva di ulteriori sacrifici. Soprattutto oggi, in tempo di crisi.
Vincere facile, facendo concorrenza sleale. E dandosi, tra l’altro, la zappa sui piedi. Sì, perché come ampiamente documentato dall’Agesc (Associazione Genitori Scuole Cattoliche) e mai smentito da alcun economista o politico, lo Stato risparmia enormemente (circa 6 miliardi all’anno) grazie alle scuole paritarie, e ancor più risparmierebbe se ne favorisse la libera scelta.
Uno studio presentato in occasione di un recente convegno nazionale di gestori di scuole paritarie (CdO Opere Educative, Bologna 16-18 marzo 2012), dimostra che se almeno l’8,4% delle famiglie, quelle per cui la scuola pubblica non solo è una scelta obbligata per motivi economici ma “contrasta con le loro convinzioni”, fosse messa in condizione di iscrivere i propri figli ad una scuola paritaria, lo Stato risparmierebbe ogni anno altri 4 miliardi di euro.
Come? Il calcolo è molto semplice: 7.900.000 (numero totale degli alunni di scuola statale) per 8,4% (percentuale di migrazione) dà 663.600 (nuovi alunni alle paritarie). Moltiplicando 663.600 per euro 6.000 (che è il risparmio medio dello Stato per ogni alunno di scuola paritaria) si ottiene risparmio annuo totale per lo Stato,pari a euro 3.981.600.000. Sommato ai 6 miliardi già attualmente risparmiati, si arriverebbe a quasi 10.E scusate se è poco…
Sarebbe ora di sostenere concretamente la libertà di scelta educativa, introducendo almeno forme di detraibilità delle rette scolastiche dalle imposte (paradossi del nostro sistema fiscale: le spese scolastiche non sono detraibili, mentre lo sono quelle per gli animali).
Sempre il medesimo studio, poi, ha mostrato – dati alla mano – come le scuole non statali, in questi dodici anni di legge di parità e nonostante le molteplici difficoltà incontrate, siano lentamente cresciute, sia come numero di plessi che di alunni (le scuole sono passate da 12.576 del 2004/05 alle 13.717 del 2009/10, mentre gli alunni sono passati dall’11% a quasi il 12% del totale, aumentando anche in termini numerici assoluti).
Le famiglie hanno apprezzato la formula paritaria, insomma, e ancor più l’apprezzerebbero se fossero sostenute economicamente nella scelta. Un segnale che dovrebbe essere di grande interesse per il governo Monti, così preoccupato di risparmiare e capitalizzare. Queste sono notizie. Ma, in questi casi, certa stampa preferisce far calare il silenzio.