E’ arrivata la primavera e iniziano a fioccare le prime circolari scolastiche, negli istituti superiori, per il “decoro” in merito all’abbigliamento di alunni e alunne. I primi ad inviare gli avvisi alle famiglie sono stati il professionale Vespucci e il Liceo Einstein di Milano. Ombelichi al vento e canottiere che mostrano scollature o pantaloncini a cui manca qualche centimetro (per non parlare delle minigonne)  sono banditi dalla maggior parte delle scuole medie inferiori e superiori del capoluogo lombardo. Si richiama, insomma, al “comune senso del pudore”. Qual è, dunque, il limite da non valicare? Quanti centimetri devono essere sopra il ginocchio le gonne? E i richiami a cui andrebbero incontro i ragazzi che non rispettano le linee di comportamento? Occorre introdurre la divisa come in tutte le scuole anglosassoni, o magari tornare al vecchio grembiule nero come quelli hanno indossato le nostre mamme sino alla maggior età? Per il preside del Liceo Berchet di Milano, Innocente Pessina, niente di tutto ciò…



Preside Pessina, qual è il suo giudizio sulle “circolari di primavera”?

Che tristezza! Io non ho mai emesso circolari per dire ai ragazzi come si devono vestire e francamente, mi sembra una questione vecchia e un po’ bacchettona. Io credo, invece, che sia giusto far ragionare i ragazzi, non attraverso una circolare, ma attraverso una relazione educativa più seria. Far capire loro che ogni luogo necessita di un abbigliamento appropriato. Se vado alla Scala non vado in costume e se vado al mare non indosserò certo uno smoking. Il punto non è vietare ma far ragionare gli studenti. L’educazione, non è quella che ha a che fare con le buone maniere, deve aiutare ad essere coscienti del luogo in cui ci si trova, nel rispetto anche della diversità altrui.



Se, invece, lei incontrasse nel corridoio del suo istituto uno studente o una studentessa con minigonna o jeans a vita bassa?

Nel corridoio del Liceo Berchet, dove si ricevono anche i genitori, sono appesi due quadri. Sono due disegni, fatti da un amico artista, in cui si ironizza sull’ombelico scoperto e i pantaloni a vita bassa. Il mio messaggio è veicolato dall’arte e dall’ironia non dagli aut-aut.

Anche per i più refrattari?

 

Sicuramente non userei lo strumento della circolare: piuttosto cercherei di ironizzare sull’indumento indossato e, alla peggio, parlerei personalmente con lo studente facendogli capire che non è il caso di indossare certi abiti a scuola. Vede, il rischio della circolare è quello di sparare nel mucchio e provocare reazioni contrarie a quelle desiderate.



Un approccio psicologico?

Forse, ma consideri che si possono creare meccanismi di questo genere: trasgredisco volutamente la circolare del preside. Oppure potrebbe essere vista come la solita mania un po’ bacchettona da parte di vetusti presidi ed insegnanti. E addio dialogo con i ragazzi.

Non negherà che i ragazzi spesso trasgrediscono, soprattutto, con l’abbigliamento.

E’ il modo più semplice, immediato e visibile per sovvertire le regole e farsi notare rispetto agli adulti: è una forma per segnalare la loro gioventù e la loro diversità. L’abbigliamento fa molto gruppo e può diventare una sorta di divisa che marca un modo di essere e di trovare il proprio spazio nel mondo.

Le ragazze, soprattutto, in certe età tendono ad essere appariscenti.

Le racconto un fatto. Abbiamo chiamato una mamma con l’intenzione di far notare che l’abbigliamento della figlia era un po’ troppo vistoso ed eravamo veramente in imbarazzo: la madre era meno vestita della figlia. Ancora una volta il problema era educativo e non tanto legato all’esteriorità: l’esempio più autorevole non era corretto e, in questi casi, la scuola non può che essere perdente. 

(Federica Ghizzardi)