Ormai da molti anni, quando dal Miur o dal Parlamento arriva un’innovazione che riguarda la scuola, mi metto ad esaminarla in controluce alla ricerca degli aspetti positivi. Qualcosa ci trovo sempre. Questa volta non è andata così: il provvedimento che da quest’anno obbliga all’adozione di testi scolastici esclusivamente in forma digitale o mista mi pare una operazione gattopardesca all’italiana.
Ma l’editoria scolastica ha un senso? Ha senso proporre alle famiglie italiane di spendere ogni anno dai 200 ai 500 euro per acquistare libri che: 1. gli studenti usano per meno del 10 per cento del contenuto? 2. gli studenti e le famiglie disprezzano dal punto di vista contenutistico, tanto è vero che li rivendono prima possibile? 3. hanno costi alti rispetto al mercato editoriale “normale”?
Il governo dei tecnici non si è posto queste domande, si è invece limitato ad applicare una legge scritta dal Parlamento senza la dovuta riflessione culturale, e ne ha affidato la applicazione alla burocrazia ministeriale.
I passaggi sono tre: 1. circolare di riferimento del Direttore generale Mauro Dutto del 2009, 2. circolare del successivo Dg Carmela Palumbo che richiama la precedente e fissa, a partire da quest’anno, il vincolo della forma mista (come minimo) per dare luogo ad adozione, compresa la decadenza delle vecchie adozioni per le quali non si sia dato luogo ad adeguamento di formato, 3. partenza di una gara da lanciare sul Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (Mepa) per la realizzazione di 20 prototipi per le diverse discipline in vista di un nuovo modo di fare testi.
Stiamo per assistere ad una ristrutturazione del mercato che non lo mette in discussione ma punterà ad adeguarlo all’esistenza delle nuove tecnologie (maledette): non si può fare a meno di Internet, perdiana!
Voglio provare ad immaginare un itinerario diverso.
I libri servono e la scuola deve insegnare ad amarli. La scuola deve insegnare a frequentare le librerie e le biblioteche, a maggior ragione oggi che i libri di valore (per effetto dell’editoria elettronica) sono disponibili a prezzi irrisori (si veda per esempio la collana I Mammut della Newton Compton con cui si acquistano più di 100 volumi di 2.000 pagine di classici a 15 euro).
Togliamo dunque di mezzo le inutili antologie che servono solo ad allontanare dagli autori e che, nonostante lo sproposito di pagine, di tomi e di peso, risultano sempre sostituite da una fotocopia (“perché quella cosa che volevo fare non c’è”).
A scuola si deve fare ricerca didattica. Lo dice persino l’art. 27 del contratto dedicato al profilo professionale del docente: “il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate e interagenti”.
Il mercato dell’editoria scolastica è come un mostro che divora se stesso: libri che escono in continuazione e quattro volte su cinque finiscono fuori mercato in pochi anni, autori malpagati, la pletora dei rappresentanti che girano le sale professori a blandire l’adozione, sale professori ripiene di copie saggio abbandonate (chi le paga?), ed ora, come una ciliegina sulla torta, la versione digitale.
La versione digitale va bene, anche perché fa da base alla produzione di quella cartacea e viene molto spesso prodotta dall’autore prima e fuori dalla casa editrice. Non è quella l’apertura alle nuove tecnologie che, fatta così, assomiglia maledettamente all’utilizzo dell’informatica come strumento per complicare la vita e aumentare la carta.
Proviamo allora a rigirare la questione dei libri di testo che, così come sono, mi ricordano la diatriba sui medicinali a marchio e gli equivalenti. La questione si è risolta quando il ministero si è messo a far pagare un ticket aggiuntivo sui primi ed ha poi obbligato i medici di base a proporre all’assistito il farmaco equivalente di minor costo.
Penso a pochi testi di riferimento: ma davvero pochi e che siano dei reference. Qui la carta serve. Una mia ex alunna ritornata in Serbia a finire il liceo mi raccontava che da loro esistono delle grandi raccolte di esercizi e che compiti in classe e temi d’esame vengono scelte per sorteggio su di esse (qui la carta non serve e dunque ben venga il Pdf a costo zero).
Diamo alle scuole, nell’ambito della autonomia, il diritto di non fare le adozioni (o di ridurle drasticamente per alcune materie) e di proporre alle famiglie di investire il risparmio su tre fronti: a. acquisto di un tablet di proprietà dell’alunno (si evitano le complicazioni organizzative dei beni in proprietà alla scuola con tutte le problematiche di custodia e di tenuta in efficienza); b. versamento alla scuola di una cifra (diciamo 50 euro ad alunno) da investire esclusivamente in tecnologia (copertura wifi dell’edificio, Lim) per garantire che a scuola si possa fare un utilizzo ordinario e intensivo della rete; c. azioni di formazione del personale con finanziamento diretto alle scuole per insegnare ai docenti ad usare la rete come strumento di ricerca. In effetti ci troviamo di fronte ad una strana contrapposizione: gli studenti smanettano, cercano, copiano a velocità stratosferica, ma non sanno cosa cercare e soprattutto non sanno selezionare; i docenti sanno selezionare e giudicare la qualità dei materiali in rete, ma molto spesso sono lenti, mal disposti e hanno comunque tutti gli handicap che non hanno i nativi digitali; d. creazione di banche dati per libera associazione di scuole e per gruppi di interesse in cui il lavoro di selezione venga condiviso anche a distanza come è nella logica democratica della rete.
Qualche anno fa (almeno cinque) prima di procedere alla stesura delle parti di fisica del 900 del mio testo disponibile gratuitamente in rete, ho fatto personalmente quel lavoro di ricerca e documentazione cui accennavo sopra. Ho scaricato dalla rete e senza compiere azioni di pirateria qualche Gigabyte di roba (documenti originali, articoli, immagini, animazioni, ipertesti) che ho poi suddiviso per argomenti all’interno delle diverse aree della fisica moderna. Si può fare ed è tra l’altro un’ottima occasione per lavorare con le lingue straniere senza dover attendere il perfezionamento del percorso infinito delle Clil.
Poiché mi sentivo un po’ angosciato all’idea di sparare sulla innovazione (o meglio sulla sua caricatura) ho fatto una prova: mi sono rivolto ad un pool di docenti della mia scuola autorevoli, seri e impegnati nella didattica. Non ce ne è stato uno che ha visto, in ciò che sta per accadere con il formato misto dei libri di testo, un’innovazione significativa.
Le opinioni sono differenziate sul ruolo del libro di testo essenziale come strumento di corredo e guida per lo studente, ma tutti convergono nel dire: certo se ci lasciassero un po’ più liberi di sperimentare davvero, certo se tutti avessero un tablet, certo se potessimo non fare le adozioni, … Che ne dite di questa: “l’obbligo di adottare un libro di testo è già di per sé un abuso, non contiene mai esattamente ciò che serve, non può mai essere utilizzato in toto, induce a pensare che studiare voglia dire memorizzare ciò che è ivi contenuto e non un ricercare, piuttosto, un continuo esplorare nei molti media che abbiamo a disposizione”.
Si potrebbero avanzare l’obiezione che se tutto diventa gratis chi farà della ricerca? La risposta è già nella rete. Invito i miei 25 lettori a fare, nel proprio ambito disciplinare, quello che ho fatto con la fisica del 900 e, in generale a riflettere sulla qualità e sul grado di sviluppo di due piattaforme diverse, entrambe basate sulla cooperazione: Wikipedia e YouTube. La strada è quella del web 2.0 e cioè l’informazione ramificata in cui si smarrisce la distinzione rigida tra autore e utilizzatore.
E per gli amanti del cartaceo una provocazione: immaginate come sarebbe diversa l’Italia se tutte le famiglie italiane spendessero ogni anno 200 euro per acquistare libri e quotidiani? E invece ne spendono 300 per acquistare prodotti cartacei di cui non vedono l’ora di liberarsi.