L’attenzione e la determinazione di La Repubblica e di Salvo Intravaia meriterebbero un plauso se non si avesse l’impressione che la ricerca di aspetti problematici per le paritarie all’uscita dei dati di ogni ricerca abbia, a monte, la ferma volontà di voler mettere in difficoltà le scuole di questo settore.
La precedente uscita in tal senso risale alla pubblicazione dei risultati dell’indagine Ocse-Pisa sui livelli di apprendimento dei quindicenni nel dicembre 2010, alla quale ci si preoccupò di rispondere non solo con articoli sui media che con dovizia di particolari dimostravano l’infondatezza delle tesi sostenute (Nella scuola pubblica si impara di più. L’Italia in basso per colpa delle private) a causa della non significatività e rappresentatività del campione statistico preso in esame (ne ho parlato in un mio articolo), ma anche con l’organizzazione di un convegno tenuto all’Università Statale di Milano (La qualità della scuola pubblica e privata in Italia. Criteri per un confronto possibile), coordinato da Giorgio Vittadini, nel quale si delineò quale deve essere il giusto approccio scientifico per una lettura oggettiva e non strumentale dei dati di una ricerca.
Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione diversa e la chiave di lettura dei dati emersi dalla relazione del Ministero sul monitoraggio sulle indicazioni per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo, pubblicata in allegato ad una nota di presentazione il 2 aprile scorso, va valutata cercando di “leggere con attenzione i numeri” per analizzare le cause del problema e porre qualche possibile dubbio su alcuni dati.
Salvo Intravaia, pur esagerando strumentalmente (scuole paritarie indietro di 10 anni) mette sicuramente in evidenza una verità che si estrae con chiarezza dalla lettura dei dati ossia che le scuole statali possono avvalersi, nel loro insieme, di strumentazione tecnologica in quantità notevolmente più consistente (pressoché la totalità visto il dato superiore al 99%) di quanto non si possano avvalere, sempre nel loro insieme, le scuole paritarie.
Un dato che non meraviglia poiché è da sempre che le dotazioni strumentali messe a disposizione dallo Stato alla proprie scuole sono superiori e non è certo oggi che si scopre questa verità, poiché la scelta primaria dello Stato è soprattutto dare la dotazione e successivamente preoccuparsi del loro uso.
La causa, quindi, è semplice: le scuole paritarie debbono fare i conti con i propri bilanci e, pertanto, si dotano di strumentazioni innovative solo nel momento in cui ritengono che i propri docenti siano in grado di utilizzarli al meglio al fine di un miglioramento della didattica e, conseguentemente, dei livelli di apprendimento degli studenti.
Va considerato anche che la legge 62/2000 non ha modificato le modalità di intervento da parte dello Stato e, pur essendo le scuole paritarie parte integrante dell’unico sistema nazionale di istruzione, non fruiscono di alcuna agevolazione né per l’acquisto di strumentazioni legate all’innovazione tecnologica (vedi l’ultimo caso delle Lim), né per l’aggiornamento dei propri docenti, nonostante qualche timida apertura in alcune situazioni territoriali. Tutto è acquistato e organizzato con autofinanziamento.
Il tutto in un contesto economico finanziario difficile, nel quale il settore delle scuole paritarie vede via via ridursi anche l’esiguo livello dei contributi erogati dallo Stato (vedi anche ultimo dossier AGeSC), rendendo sempre più difficile il far fronte al costante aumento dei costi di gestione.
Da un punto di vista didattico va considerato altresì che senza una corretta e buona formazione dei docenti, le nuove strumentazioni tecnologicamente avanzate rischiano di restare “cattedrali nel deserto” ed il mio osservatorio personale, frutto di incontri e di convegni cui partecipano anche molti dirigenti di scuole statali, mi indica una loro preoccupazione per un livello di aggiornamento non adeguato all’utilizzo – almeno in buona percentuale – delle possibilità che questi strumenti offrono per cambiare e migliorare la didattica. In questo senso alcuni dati del monitoraggio mi sembrano decisamente più alti rispetto a quanto si dice e si commenta in questi incontri.
Un secondo punto, brevemente, tocca alcune perplessità circa taluni dati. Prendendo come riferimento una media nazionale di scuole paritarie dotate di strumenti tecnologici pari al 50,4% (non pienamente corretta, ma non ho elementi per una media ponderata) contro il 99,4% delle scuole statali, mi chiedo a cosa si riferisca la percentuale che si riscontra nella tabella relativa all’utilizzo degli strumenti stessi. Se la percentuale di utilizzo per la scuola statale mi sembra in linea con quanto segnalavo nel paragrafo precedente, mi pongo qualche problema relativamente alla scuola paritaria.
Le percentuali si riferiscono ancora alla totalità della popolazione o solo alla popolazione delle scuole in cui esiste strumentazione tecnologica?
Se la riposta è la prima ipotesi ritengo il dato non corretto in relazione ad una chiave di lettura di quanto gli strumenti in dotazione siano utilizzati per la filosofia gestionale che caratterizza le scelte di investimento delle scuole paritarie (non si investe in strumenti costosi per non utilizzarli).
La seconda chiave, a mio avviso più logica, porterebbe a ritenere che nelle scuole paritarie in cui si è fatta questa scelta, l’utilizzo degli studenti è simile a quelli delle scuole statali: 41,2% per l’uso singolo, e 54,9% per i gruppi, mentre l’utilizzo dei docenti è comprensibilmente superiore per quanto ho espresso più sopra: 92,8% per l’uso singolo, e 78,1% per i gruppi.
Questa situazione di gap strumentale tra scuola statale e paritaria, a conclusione, non deve, in ogni caso, far dimenticare i risultati che le scuole paritarie ottengono circa i livelli di apprendimento.
Le caratteristiche fondanti il progetto educativo e formativo delle scuole paritarie del settore monitorato dal Ministero è una particolare attenzione all’alunno, alle sue esigenze formative ed educative con l’attuazioni di attività ed iniziative didattiche volte a fargli superare le difficoltà e gli esiti oggettivi rilevati dalle prove Invalsi attraverso la prova somministrata in occasione dell’esame di terza media sono, a dir poco, confortanti, ma poco reclamizzati, poiché superiori agli esiti medi dei risultati degli studenti frequentanti le scuole statali. A questo proposito basta leggere l’articolo di Tommaso Agasisti sul tema.
A conclusione è sicuramente indispensabile che le scuole paritarie debbano per far fronte all’ineluttabile necessità di avviare un percorso virtuoso verso una modalità didattica innovativa e più vicina ai linguaggi dei cosiddetti nativi digitali, oltre all’auspicio di un loro riconoscimento a pieno titolo quali scuole dell’unico sistema nazionale di istruzione e formazione, per rompere la logica di una sterile contrapposizione ed entrare in una logica di lavoro comune per ottenere un miglioramento complessivo degli apprendimenti dei nostri studenti.