Italiano, matematica e friulano. Dal prossimo anno, in Friuli Venezia Giulia, nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie verrà introdotto l’insegnamento del dialetto friulano nelle regolari ore di lezione. Questo solo per le famiglie che lo richiedessero. E non sono poche: per ora hanno fatto richiesta di questo “plus” il 61 per cento dei genitori che hanno figli in quella fascia di età. Per i bimbi che non parteciperanno alle lezioni saranno previste altre attività, come accade per chi non segue le ore di religione. La decisione si estende in tutte le scuole dell’infanzia e le elementari della Regione Friuli Venezia Giulia nell’area “friulanofona”: province di Udine, Pordenone e gran parte di quelle di Gorizia. La giunta regionale ha intanto già nominato una commissione di esperti: docenti e ricercatori universitari specializzati in semiotica e vari consulenti in materia di eduzione.



Luca Serianni, docente ordinario di Storia della lingua italiana nell’Università La Sapienza di Roma, qual è il suo giudizio su questa decisione della Giunta regionale del FVG?

Il problema che mi pongo è il monte ore complessivo. Non ho nulla in contrario perché in Friuli si insegni anche il dialetto. Però, sottolineo anche. E’ un insegnamento che non può sostituire le altre materie che compongono il curriculum della scuola nazionale, a partire dalla lingua italiana. Se c’è una richiesta delle famiglie del territorio e le ore sono aggiuntive alle tradizionali materie, perché no?



Quale sarebbe l’utilità di un provvedimento del genere?

Sicuramente a cementare il senso di appartenenza di una comunità che ha una sua fisionomia specifica. E’ solo un fatto identitario, diciamo affettivo.

Professore, non è troppo impegnativo caricare scolari così piccoli di ore aggiuntive di lezione?

Questo sicuramente. Il carico didattico che un bambino può tollerare è piuttosto limitato. Ci sono, dunque, dei limiti legati oltre che al tempo e agli orari anche alla capacità di assorbimento da parte degli alunni.

In un’epoca “globalizzata” non è un controsenso rinchiudersi in certi localismi?



Se è un elemento aggiuntivo che integra gli altri ed è compatibile con il monte ore complessivo, non trovo localistico questo tipo di insegnamento. E’ sempre utile avere un radicamento con le proprie tradizioni e le proprie radici. Anzi, oggi forse i giovani deficitano di attenzioni verso i propri luoghi di appartenenza. Sarebbe richiudersi in un meccanismo di altri tempi se, invece, dovesse verificarsi un decremento delle ore delle altre materie.

Il 61 per cento delle famiglie interessate richiede espressamente l’insegnamento del dialetto. Perché questo fenomeno nasce nel territorio friulano e non altrove?

Nasce in una zona in cui l’idioma locale ha avuto un riconoscimento di lingua minoritaria in seguito ad una legge ispirata dall’ex ministro all’Istruzione Tullio De Mauro nel 20101. Questa legge ha stabilito che ci sono degli idiomi, nel nostro paese, che hanno uno statuto di lingua e non di dialetto come il tedesco in Alto Adige, l’albanese delle colonie nell’Italia meridionale, il sardo e anche il friulano. Questo ha rafforzato il senso autonomistico della comunità, già comunque molto spiccato. So che hanno fatto investimenti consistenti per arrivare ad un’omologazione dei vari dialetti friulani esistenti che ha portato ad un, diciamo, “friulano tipo”.

Gli studenti stranieri non si sentiranno psicologicamente ancor più in minoranza?

Questo accadrebbe se tutte le lezioni venissero impartite in dialetto. Trattandosi di ore facoltative non dovrebbe accadere. Ricordo, però, che in quell’età i bambini imparano in fretta gli uni dagli altri: non sarebbero comunque ghettizzati.

(Federica Ghizzardi)

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