«Non si può sbrigativamente dire “da oggi eliminiamo il valore legale”. Il fatto è che l’espressione valore legale non sottintende un solo problema, ma un insieme di cose diverse: è una nebulosa, come diceva Sabino Cassese». Una nebulosa nella quale giocano un ruolo importante gli ordini professionali. Ma come potrebbe cambiare il valore legale in futuro? Enrico Carloni, esperto di diritto amministrativo, interviene nel dibattito aperto da IlSussidiario.net sul tema del valore legale.
Lei ha scritto che «la pura e semplice abolizione del titolo di studio rilasciato dalle università sarebbe una sconfitta dello Stato». Perché?
È accaduto, e credo che questo sia un punto sul quale tutti sono d’accordo, che la moneta cattiva ha scacciato la moneta buona. D’altra parte la «concorrenza» resa possibile dalle leggi vigenti non è stata in grado di produrre una selezione volta al miglioramento. Il punto è che dovremmo ricostruire su basi diverse quelle garanzie di qualità che prima costruivamo attraverso un’omogeneità di fatto di strutture, docenti e percorsi.
Eccoci, dunque, all’uniformità. La colpa originale del valore legale.
Che l’uniformità abbia condotto ad una svalutazione dei titoli, è vero. Il modello da cui proveniamo, consolidatosi negli anni ottanta e novanta, vedeva circa 60 università omogenee sul territorio nazionale. La qualità del titolo universitario era variabile da ateneo a ateneo, ma era contenuta in un livello di variabilità accettabile. In altri termini, tra il peggior ateneo e quello migliore c’era una distanza «comparabile».
Poi che cos’è accaduto?
Da allora l’università italiana è cambiata profondamente. In virtù dei meccanismi introdotti – per citarne alcuni, la selezione locale dei docenti o il mancato controllo sul fatto che i corsi siano tenuti sempre da docenti di ruolo – è venuta meno la garanzia strutturale che ciò che chiamiamo «laurea» abbia le stesse caratteristiche confrontabili su tutti il territorio. Per coloro che ritengono sufficiente mettersi in tasca un titolo, conseguirlo risulta ora molto più facile.
Ma se il valore legale ha svalutato il titolo, aboliamo il primo e rivaluteremo il secondo.
Non si può sbrigativamente dire «da oggi eliminiamo il valore legale». Il fatto è che l’espressione valore legale non sottintende un solo problema, ma un insieme di cose diverse: è una nebulosa, come diceva Sabino Cassese. C’è la normativa relativa alla professione forense che dice che per fare l’avvocato occorre superare un certo esame; similmente, c’è la normativa relativa alla professione medica, quella relativa alle pubbliche amministrazioni per l’accesso alla dirigenza, e così via. Esse presuppongono – secondo passaggio – che per fare una determinata professione serva un certo titolo di studio. Ma il punto non è l’esistenza di un «valore legale» in quanto tale, bensì il sistema che ci garantisce di preparare al meglio le persone.
Non a caso la consultazione del governo riguarda il valore del titolo di studio nell’accesso ai pubblici concorsi.
Il problema del reclutamento negli uffici pubblici non è quello del peso eccessivo che viene riconosciuto alle lauree rispetto ad altri titoli, semmai quello della progressione di carriera interna. È vero che marginalizzare il peso del voto di laurea può avere un aspetto vagamente positivo, potendo servire a evitare che in alcuni atenei ci sia una valutazione di manica più larga.
E così torniamo al punto di partenza: «ricostruire su basi diverse le garanzie di qualità» del titolo. come possiamo verificare quello che c’è «dentro» un titolo, per vedere quanto vale?
Lo si può fare in vari modi: ad esempio, attraverso verifiche condotte sugli studenti. Un’altra strada è basata sull’accreditamento. Si può allora pensare ad un sistema di accreditamento pubblico, oppure di categoria, come accade per le Bar associations degli avvocati Usa. La via che ha scelto il nostro Paese è quella di una agenzia terza come l’Anvur e mi sembra francamente la soluzione migliore.
Perché?
Perché è la soluzione che più mi pare adeguata a ricostruire la razionalità del sistema, nel rispetto del nostro obiettivo più importante che è quello di alzare la qualità della formazione universitaria. Direi che è la via migliore per traghettare il sistema dai guasti dell’uniformità e della sua evoluzione (proliferazione delle sedi, università telematiche, etc.) verso un sistema più coerente e rigoroso.
Secondo lei quale sarà la principale evoluzione?
Il passaggio da un riconoscimento ottenuto una volta per tutte – una cosa a priori, senza valutazione della qualità – ad un riconoscimento continuo e sulla base della valutazione della qualità. Ciò avverrebbe, come dicevo, senza sconvolgere un sistema universitario che negli ultimi vent’anni ha subito troppi cambiamenti destabilizzanti.
E il valore legale?
Si potrebbe collegare a questo accreditamento il riconoscimento del valore legale, cioè l’attestazione del fatto che un determinato percorso, svolto in conformità a precisi e rigorosi requisiti minimi, è per l’ordinamento italiano una «laurea» – appunto – in una certa disciplina.