Caro direttore,

apprendo che sarà a brevissimo disponibile online un nuovo software che potrà guidare gli studenti nell’esercizio scolastico delle versioni di testi latini. A priori nutro una certa simpatia per le possibilità di facilitazione che lo sviluppo della tecnologia comporta: se posso, risparmio tempo con il telepass. Tuttavia, riflettendo sullo strumento lanciato dalla Fondazione Agnelli, che riguarda l’insegnamento della lingua latina, per quanto ne apprendo dall’informazione giornalistica, devo confessare subito la delusione.



Anche questa volta, temo, montes pepererunt murem. Dunque: si presenta come connubio di cultura classica e innovazione (tecnologica) un tutor (sic!) che – si garantisce – non permette di “copiare” la traduzione di un testo assegnato, ma che guida il discente: 1) a fare l’analisi logica (vogliamo chiamarla analisi morfosintattica?) e 2) a proporre quindi in un’apposita schermata la propria traduzione. Il grande “balzo in avanti” – se capisco bene – sarebbe l’eliminazione del famigerato insegnante di “ripetizioni” – tanto odiato per le tasche quanto spasmodicamente cercato dai genitori alla rincorsa del “successo formativo” a tutti i costi per il figlio, che non volendo o non potendo studiare in proprio, si affida perinde ac cadaver nelle mani del “tutor”, che dovrebbe fare quello che evidentemente si pensa non sia stato in grado di fare l’insegnante del mattino.



Pur tenendo conto che ci sono alunni nullafacenti fino a maggio, che poi si affidano a ripetizioni in tutte le materie, se, tuttavia, si trattasse solo di ciò, che risparmino pure almeno sul “tutor” di latino: invece che farmi guidare con domande di riconoscimento morfosintattico e – forse – lessicale sul testo (“qual è la principale?”, “con chi concorda il tale aggettivo?”, “come si presenta la forma da vocabolario della tale parola?” ecc.) da un essere umano, delego alla macchina simile operazione. In realtà a tale operazione apparentemente neutra sono sottesi alcuni idola che vorrei identificare con alcune domande che mi sorgono.



1) Siamo davvero sicuri che la decrittazione algebrica di una stringa di caratteri secondo categorie grammaticali spesso imprecise sul piano epistemologico (ve lo ricordate il complemento di specificazione? ecco, l’asse sintagmatico o combinatorio impone di per sé che aumentando l’extensio linguistica se ne riduca, cioè “si specifichi”, l’intensio…) e il conseguente esercizio di trasposizione lessicale (con tutti gli svarioni dovuti alle infinite possibilità di distanza dell’italiano di oggi dal latino di Cicerone), sia davvero l’optimum genus interpretandi? L’idolo sotteso è che la versione sia l’unico strumento di insegnamento/apprendimento (non è sinonimia ma bifrontalità, a parte magistri/discipuli), come di verifica dello stesso, ma anche unica competenza che si vuole raggiungere nella scuola. La traduzione è invece, per chi scrive, tentativo di interpretazione di un “senso” e sua ricodifica in una lingua, e il “senso” non è la pura somma delle operazioni combinatorie. Ma su ciò rimando agli ottimi articoli di Gobber e Milanese su queste pagine.

2) La possibilità di avere un esercitatore automatico, che, a quanto leggo, chiede all’alunno un tempo fino ad un ora e mezza per svolgere un singolo esercizio, è davvero un’esigenza per studenti che ormai in media dichiarano al massimo due ore di studio pomeridiano nei licei? In altre parole, se non c’è la volontà di studiare, cioè di fare da soli in proprio il faticoso esercizio dell’applicazione sui libri, perché mai lo studente che “scarica” le versioni dovrebbe rinunciarvi per fare quella fatica seppur in compagnia di una macchina? L’idolo è che la forma digitale o elettronica sarebbe più appeal, ovvero una banalizzazione del miele lucreziano con cui cospargere il bicchiere dell’amaro studio. Rileggere le pagine di Paola Mastrocola.

3) Davvero l’insegnante (del mattino o del pomeriggio) è riducibile alla figura del tutor? Tralascio l’esame dello scadimento linguistico dall’originale latino. L’idolo è che l’insegnamento coincida con la trasmissioni di informazioni e procedure e l’esercitazione delle stesse. Tale nuova piattaforma condivide di fatto l’ormai dilagante mentalità per cui l’insegnante è semplicemente un facilitatore o un somministratore, quindi interscambiabile e in fondo inutile. Come mi trovo a ripetere ai miei alunni, all’insegnante non si chiede più di “fare segno”, introdurre cioè al grande segno che è il reale, ma semplicemente di “assegnare” e “correggere”. Questo lo può fare anche una macchina.

Se dunque qualche famiglia risparmierà i soldi per far fare più esercizio ai figli, che non vogliono o non possono farlo da soli, buon per loro. Ma l’entusiasmo non mi contagia. Mai come in età scolare si ha l’esigenza di condividere con un maestro l’affascinante e faticoso cammino alla scoperta di sé e del mondo, imparando certamente categorie culturali come ipotesi di senso, che vanno però giocate nel libero incontro della persona con le “cose”. Questo avviene per osmosi, in una lunga condivisione tra maestro e allievo, come insegnava già Platone (Ep. VII, 341c-d: ek pollês synousías).

Per quanto riguarda l’insegnamento di una lingua quale è il latino, l’unico metodo che ritengo adeguato è la trasmissione linguistica, dalla bocca del maestro all’orecchio dell’alunno, come ho scritto e non io solo su questo giornale. Se ci lasciano fare questo e magari con un quadro orario non ridicolo come al nuovo Liceo linguistico della riforma, volentieri ai nostri alunni, quando raggiungono – in quarta al più presto – una maturazione personale e linguistica anche nella propria lingua madre, proporremo l’affascinante sfida del confronto testuale traduttivo. Facendo loro scoprire che se lo si intende per quello che è, cioè confronto interculturale, è un esercizio potenzialmente infinito e dotato di una creatività “fantastica” (un grazie al collega Botturi) non meccanizzabile.