Il dibattito e le polemiche suscitate dalla decisione del governo bavarese di introdurre nelle scuole a partire dal 2015 la “bibbia del nazismo”, il Mein Kampf di Adolf Hitler, in un’edizione commentata è l’occasione per tornare a riflettere sulla questione del buon uso della storia.
Sino a una decina di anni fa in Italia il testo hitleriano era quasi introvabile sul mercato e aveva una circolazione semi-clandestina. Per una sorta di eterogenesi dei fini, ciò ha fatto sì che esso sia stato a lungo dotato dell’aura che spetta a tutte le opere “maledette”, indipendentemente dal povero valore del suo contenuto (che del resto ben pochi tuttora conoscono). Il nazionalsocialismo rappresenta veramente la massima manifestazione del male a livello storico ma, se lo si concepisce come “male assoluto”, lo si trasforma in una sorta di principio metafisico, in un evento “meta-storico”.
Il guaio di tale prospettiva è che essa fornisce inopinatamente al nazismo una carica “anti-sistema” del tutto immeritata e fuorviante. In altri termini il nazismo è reso involontariamente “sexy” agli occhi di quegli individui (tra cui molti giovani) che, più o meno a ragione, “ce l’hanno” con il nostro sistema politico e sociale in un periodo in cui esso non sta certo dando il meglio di sé.
Sarebbe assai più opportuno invece privare il nazismo di tale presunta aura metafisica e comprenderlo con gli strumenti concettuali e le metodologie di ricerca attraverso cui si conoscono gli eventi storici. Tale opera di “laicizzazione” è grazie a Dio cominciata da decenni a livello scientifico. Del nazismo, della sua ideologia, dei suoi protagonisti, della sua organizzazione come movimento politico, del sistema totalitario e terroristico che è stato capace di instaurare gli studiosi sanno molto. E la Shoah è probabilmente l’avvenimento meglio documentato dell’intera storiografia.
Il problema è che, nel momento in cui si passa dal piano della ricerca scientifica a quello del discorso pubblico, ogni parola che non si uniforma alla visione del nazismo come evento meta-storico viene recepita perlomeno con sospetto. Le cose non sono poi cambiate molto da quando il 10 novembre 1988 l’allora presidente del Bundestag della Germania occidentale Philipp Jenninger, commemorando il 50° anniversario della Notte dei cristalli, cercò di ricostruire le ragioni (psicologiche e non) che spinsero milioni di tedeschi – non solo i sadici psicopatici o i militanti fanatici ma anche “normali” padri e madri di famiglia – ad appoggiare più o meno entusiasticamente il governo nazista e la sua politica antisemita.
Che dietro a valutazione e ad azioni errate e moralmente perverse ci potessero essere ragioni storicamente comprensibili parve a molti opinion maker dell’epoca qualcosa di inammissibile. E Jenninger fu costretto alle dimissioni, definite da Simon Wiesenthal (il grande cacciatore di criminali nazisti) come una grande tragedia.
Per giudicare con cognizione di causa la scelta del governo bavarese occorrerà avere maggiori informazioni in merito alle modalità didattiche attraverso cui tale scelta educativa verrà posta in essere. Tale giudizio dovrà però tenere in considerazione una massima assai cara a Hannah Arendt: per evitare che la storia si ripeta, è necessario che, prima di giudicarla ed eventualmente condannarla, corriamo il rischio della sua comprensione.