Sembra opportuno fare qualche considerazione a margine del pdl 953/Camera, contenente norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali, ora probabilmente giunto alla fase conclusiva dell’iter in Commissione cultura a Montecitorio, che dovrebbe approvarlo in sede deliberante, stante la decisione adottata dall’Assemblea, vista la larga convergenza dei gruppi parlamentari sul testo aggiornato con gli emendamenti di fine marzo.
Si è, in sostanza, deciso di accelerare la definizione di almeno questo aspetto delle riforme concernenti le istituzioni scolastiche autonome, restate nell’ultimo decennio praticamente affidate a sé stesse, senza effettivi sostegni da parte di provvedimenti coerenti con la scelta di sistema per l’autonomia operata nel 1997/99, poi rafforzata (potenzialmente) dalla riforma costituzionale del 2001, anch’essa peraltro finora senza seguito.
Va osservato in primo luogo che il testo del pdl 953 ora in esame è sostanzialmente diverso da quello originariamente presentato dall’on. Aprea (anche se resta intestato a questa parlamentare come prima firmataria, dopo la riunificazione di ben 9 proposte parlamentari, nonostante la stessa sia ora diventata assessore della Regione Lombardia). Da un lato è del tutto venuto meno il capo riguardante lo stato giuridico dei docenti, per il quale non sono finora maturate sufficienti convergenze tra le varie proposte in discussione, spesso tra loro di non poco distanti come impostazione e anche con riguardo ai meccanismi sulla formazione e l’accesso dei docenti. Dall’altro è praticamente stato quasi del tutto ridimensionato l’obiettivo per certi versi prioritario – e peraltro assai opinabile – del testo di partenza, che era quello di prefigurare una possibile trasformazione giuridica delle scuole in fondazioni, con il rischio oltretutto di compromettere la natura pubblica e il ruolo delle istituzioni scolastiche come componenti necessarie del sistema nazionale di istruzione.
Quanto al merito delle norme dell’attuale pdl 953, vi sono luci e ombre. Per un verso, infatti, non si può che convenire con l’impianto del capo primo, in base al quale si prefigura – pur nel quadro di un nuovo disegno generale degli organi delle istituzioni scolastiche statali (che supera definitivamente il modello degli organi collegiali degli anni 70, da tempo in crisi) – uno spazio di autonomia statutaria, analogo a quello già sperimentato da qualche anno nella Provincia autonoma di Trento, frutto di una concezione (almeno sulla carta) avanzata e aperta dell’autonomia scolastica, sia nelle dinamiche interne che nei rapporti con le istituzioni pubbliche e gli stakeholders del territorio. In verità, la disciplina degli organi prevista nella proposta in discussione – impostata sulla (condivisibile) distinzione tra funzioni di indirizzo, di gestione e tecniche – presenta forse qualche eccessiva rigidità, che può limitare le opzioni e gli adeguamenti suggeriti dalle singole realtà locali. Ma il messaggio è complessivamente innovativo e potrebbe stimolare una ripresa di vitalità e di consapevolezza del senso e della latitudine dell’autonomia scolastica.
Il condizionale appena usato è d’obbligo, perché per altro verso il testo in discussione presenta – ad avviso di chi scrive – lacune o motivi di incertezza che possono di fatto frenare anche le buone intenzioni sottese. Un primo nodo è costituito da quanto si prevede a proposito delle reti di scuole o dei consorzi a sostegno dell’autonomia scolastica. In particolare nell’articolo 10 emerge una visione delle forme di supporto alle scuole non certo in sintonia con quanto prefigurato dall’articolo 50 della recentissima legge n. 35/12, laddove la scelta per il modello delle reti territoriali tra istituzioni scolastiche appare come necessaria al fine di conseguire la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie indispensabili per il funzionamento delle scuole (vi è anche la prefigurazione di un organico di rete per una serie di finalità comuni alle scuole cointeressate): c’è da chiedersi se una mano non sa quella che ha appena fatto l’altra. E va sottolineato, in proposito, che la configurazione e il ruolo delle reti non è certo questione marginale nel riassetto del sistema scolastico per attuare (finalmente in modo organico) l’autonomia: mentre nel pdl 953 l’ipotesi delle reti è meramente eventuale, nel suddetto articolo 50 le reti appaiono come una scelta di sistema, sia pure da sviluppare e precisare nelle linee guida che il Miur deve definire a breve.
Vi è poi la questione della rappresentanza istituzionale delle scuole dell’autonomia, oggetto del capo secondo del pdl in discussione, che affronta un nodo non certo trascurabile per il futuro assetto del sistema scolastico e dei supporti tecnici (v. Cis), ossia quello delle modalità di interlocuzione delle scuole con le istituzioni territoriali e con il Miur. Le soluzioni ivi prefigurate appaiono basate su un modello sostanzialmente vecchio e in certo modo a cascata, a partire dal Consiglio nazionale delle autonomie scolastiche e poi dalle varie Conferenze regionale e locali. Soprattutto non emerge una prospettiva in cui sia ripensato radicalmente il ruolo istituzionale del Miur, così come quello degli organismi di valutazione del sistema scolastico, mentre resta del tutto evanescente sia il ruolo istituzionale delle Regioni nel finanziamento e nella programmazione scolastica così come nella disciplina del personale docente, sia quello delle istituzioni locali, le cui funzioni di supporto alle scuole sono tuttora in discussione al Senato nella Carta delle autonomie.
Qui emerge un evidente limite di scenario del pdl 953, che appare inevitabilmente una sorta di intervento tampone su un aspetto certo importante, ma che è un tassello da inquadrare (con coerenza) in una riforma generale del sistema scolastico di ben più ampio respiro, indispensabile per un effettivo decollo anche dell’autonomia delle scuole. Bisogna, in sostanza, affrontare finalmente il nodo dell’attuazione del titolo V chiarendo in tale contesto anche la condizione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche nonché i supporti e i rapporti con le altre istituzioni del sistema repubblicano.