Il sistema scolastico finlandese ha acquistato improvvisa notorietà nei primi anni duemila, quando i test Pisa (programma per la valutazione internazionale dell’allievo, ndr) mostrarono che gli studenti della Finlandia erano davanti a tutti gli altri. Da allora, citare la Finlandia è diventato d’obbligo per indicare una scuola di qualità. Così, in un periodico come Internazionale può venire pubblicato un reportage che reca come titolo nientemeno che «La scuola perfetta». Nessun preconcetto politico di origine nostrana: la giornalista è americana. Ebbene, tutte le scuole sono finanziate dallo Stato, non ci sono test, il 93% degli studenti si diploma (in licei o scuole professionali), il 66% prosegue gli studi iscrivendosi all’università, l’obbligo scolastico che inizia a sette anni, pochi compiti a casa, docenti tenuti ad aggiornarsi continuamente, forme di sostegno personalizzate e in quantità, insomma nessuno viene lasciato indietro. Vien da sé che la tentazione è quella di fare una riforma, addormentarsi italiani e risvegliarsi finlandesi. IlSussidiario.net ne ha parlato con Giacomo Zagardo (Isfol), esperto di sistemi comparati.



È applicabile il modello finlandese in Italia?

Certo, non tutto è esportabile. Ad esempio, quella finlandese non è una cultura che si autovaluta in continuazione. Non c’è come nel resto dei paesi Ocse un uso frenetico dei test di valutazione a scuola a tutti i livelli. Ma questo si spiega per le caratteristiche strutturali della popolazione scolastica finnica. Qui non possiamo compararci alla Finlandia, in quanto le condizioni di partenza sono diverse: la varianza tra scuole è, laggiù, molto bassa (anche se si va accentuando sotto la spinta dell’immigrazione) e vi sono poche disuguaglianze tra scuole delle periferie e del centro. Da noi, in Italia, c’è molta differenza nei risultati di apprendimento soprattutto tra scuola e scuola e, pertanto, la valutazione serve proprio per rilevarle nel dettaglio e trovare soluzioni didattiche a quelle carenze che si mostrano.



E i docenti?

Per i docenti ci sono altre differenze: quelli finlandesi hanno uno status riconosciuto come importante socialmente; studiano molti anni (dopo l’assunzione anche in formazione continua e formazione tra pari) e per entrare in carriera affrontano concorsi difficilissimi e selettivi come prove ad ostacoli. Infine, sono scelti dalle stesse scuole e da queste possono essere licenziati. Per questo non si avverte il bisogno di valutarli continuamente.

E da noi?

Da noi, invece, quella dell’insegnante tende ad essere considerata come una professione di ripiego e a rischio di stress. La colpa non è dei docenti ma della comunità educante che non è così coesa come in Finlandia. Rispetto a questo Paese, in Italia c’è un’altissima mobilità docente proprio nelle scuole e nei tipi di scuole più a rischio di abbandono tra gli studenti. Da noi, l’organico, in quanto a caratteristiche, non è a misura delle necessità e dei progetti attivati dalle scuole, ma è scelto altrove con criteri amministrativi.



La Finlandia può suggerire qualcosa al nostro sistema scolastico?

Per avvicinarci alla buona scuola della Finlandia andrebbero quantomeno perseguite due strade: la scelta dei docenti a un livello più vicino al territorio e alle diverse esigenze delle scuole (in Lombardia si sta aprendo qualche spiraglio con le politiche educative dell’assessore Aprea; e l’allargamento del concetto di pubblica istruzione… Questo concetto rimanda al difficile (solo in Italia) tema della effettiva e reale libertà di educazione. Dove questa manca, paradossalmente, si acuiscono i problemi e le disparità.

A questo proposito in Finlandia come funziona?

Come in molti paesi del nord Europa, anche in Finlandia la scelta dei genitori è libera e gratuita, sia per iscrivere i figli a scuole statali (in realtà sono gestite delle Autorità locali) sia per farli frequentare scuole libere non governative. In presenza di uno specifico bisogno del territorio, chi rientra negli standard stabiliti dal “permesso di educazione” può erogare il servizio. La quota dei ragazzi che frequentano le scuole non governative è in crescita (attualmente riguarda l’8-10% dei ragazzi finlandesi) ma, al di là del peso reale contribuisce a migliorare la competitività del sistema. Ciò avviene, ad esempio, anche nella vicina Svezia, nelle cui grandi città il 40% degli studenti di scuola secondaria superiore accede alla scuola libera (ma finanziata dallo Stato in base ad un efficiente sistema di vouchers).

Sono tutte qui le differenze?

No. Ce n’è almeno ancora una molto importante. In Finlandia, i ragazzi hanno a scuola un supporto specifico di docenti di recupero ma, fuori della scuola, hanno la possibilità di accedere a costi “politici” a strutture del tempo libero, anche in convenzione, monitorate e sovvenzionate dai comuni. Le competenze che si acquisiscono affiancano per via ludica quelle scolastiche e sono talmente importanti per i risultati finali degli alunni che i loro standard sono sotto la sorveglianza dello stesso organismo che appronta il curriculum nazionale scolastico.