Nomina dello studente dell’anno, master estivi per i meritevoli, meno tasse per i primi delle classe. La rivoluzione dell’educazione va sotto il nome di una sola parola: “meritocrazia”. Il inistro dell’Istruzione Francesco Profumo ha, infatti, illustrato ieri i punti chiave, alcuni ancora da rivedere, che costituiranno il cosiddetto “pacchetto merito”: quindici articoli che vanno a costituire un disegno di legge che dovrebbe essere materia di discussione in Consiglio dei Ministri, già da venerdì prossimo. Si comincia dalle scuole superiori, dove gli alunni che hanno superato la maturità con il massimo dei voti, avranno diritto ad una borsa di studio aggiuntiva e alla riduzione del 30% delle tasse universitarie, ma solo per il primo anno. Olimpiadi scolastiche da organizzarsi annualmente per ogni materia di studio con la nomina di tre vincitori che si aggiudicheranno soggiorni gratuiti in campus estivi. Non solo. Per i più bravi saranno messe a disposizione le card “Io merito” con possibilità di sconti su mezzi pubblici, mostre e musei. “Sono convinto che nella nostra scuola un ritorno al merito non sia del tutto inutile – dice Giorgio Chiosso, pedagogista -. Per moltissimo tempo, almeno trenta o quarant’anni, abbiamo sottolineato che la scuola doveva essere selettiva, poco meritocratica e che, anzi, doveva sostanzialmente perseguire il fine dell’equità. Questo, ha fatto sì che la scuola impoverisse ciò che era una delle sue anime, l’individuazione dei meritevoli: abbiamo, in pratica, perseguito l’obiettivo di eliminare le disuguaglianze ma ci siamo dimenticati che un Paese vive anche di eccellenze e che queste costituiscono la ricchezza di uno Stato”.



Però?

La scuola è certamente un luogo dove si coltivano le intelligenze migliori ma dove non si deve dimenticare le difficoltà di quei ragazzi che fanno più fatica, non perchè questi ultimi siano meno dotati o meno capaci ma perchè hanno, magari, meno possibilità sociali, culturali e familiari. L’altro rischio è costituito dal fatto che, dopo essere passati attraverso una specie di ideologia ugualitaria, non si passi improvvisamente ad un’altra convinzione, la meritocrazia più spinta.



Quali rischi comporterebbe?

La scuola deve valorizzare i più meritevoli anche perché questo ci è richiesto dalle logiche economiche ma non si passa solo da soluzioni puramente meritocratiche per migliorare il mondo dell’educazione.

L’istituto sceglierà uno “studente dell’anno”. Secondo quali criteri e chi farà questa scelta?

Siccome esiste un’autonomia scolastica, penso che questo genere di intervento debba essere attribuito alle scuole altrimenti il rischio è che si torni al vecchio statalismo, che ci siamo lasciati alle spalle. Il ministero ha il diritto e, soprattutto, il dovere di indicare i canoni di orientamento ma tutti gli aspetti che riguardano in dettaglio l’applicazione di queste linee guida e le forme organizzative, devono essere largamente attribuite alle scuole. Non che questo non crei sperequazioni, ma è un rischio che bisogna correre.



Pensa che la valutazione secondo criteri meritocratici debba toccare anche gli insegnanti?

Questi punti chiave dettati dal ministero mi sembrano il primo tempo di una partita che è ancora tutta da giocare. Il discorso del merito non può essere dissociato da altri due passaggi molto delicati e su cui non mi sembra che la nostra classe politica abbia preso una posizione precisa. Il primo passaggio è legato alla qualità degli insegnanti: il merito è sicuramente legato a contesti sociali e familiari, che determinano il carattere dell’alunno, ma è anche connesso alle capacità dei docenti. Purtroppo, ad ora, non esiste alcun sistema che possa valutare l’operato degli insegnanti se non alcuni criteri piuttosto autoreferenziali, organizzati in autonomia da alcuni istituti.

L’altro problema?

E’ strettamente congiunto con ciò che dicevo prima ed è la valutazione del rendimento delle scuole. In Italia abbiamo un giudizio sugli apprendimenti, realizzato dall’Invalsi, ma non siamo ancora arrivati alla fase successiva dove si cerca di capire qual è la vera qualità degli istituti. Il merito è un discorso complesso che però non si gioca solo sul versante degli allievi.

Per ora la proposta è quella di premiare gli istituti che avranno un minor numero di alunni che arrivano al diploma senza essere bocciati.

Valutare un istituto sul numero dei bocciati mette in svantaggio quelle scuole che si trovano in contesto sociali difficili. Il problema della valutazione scolastica non deve essere trattato da un punto di vista quantitativo ma di misuratori complessi e sofisticati che in Italia, purtroppo, c’è pudore ad affrontare, anche per una certa rigidità delle organizzazioni sindacali e per la mentalità di alcuni insegnanti.

Ogni facoltà metterà in campo dei test di valutazione per verificare quale sia la facoltà più adatta. Pensa che sia un buono strumento per abbassare i numeri di quanti lasciano l’università?

Non mi sembra una novità ma il perfezionamento di una prassi che già oggi le università applicano con test orientativi che servono anche ad accertare se gli studenti hanno i requisiti adatti per frequentare una determinata facoltà. Trovo, però, un punto debole in questi test.

Quale?

L’ipotesi che venga tolta la prova di cultura generale: trovo che sia un grave errore. La formulazione delle domande potrà essere oggetto di discussione poiché l’argomento è estremamente variegato, ma prima occorre capire quali sono le attitudini delle studente e qual è il suo background, e poi indirizzarlo verso la facoltà che gli è più congeniale. E cosa se non una prova di cultura generale per poterlo stabilire.

 (Federica Ghizzardi)