Una ricerca effettuata dall’Istituto di Fisiologia clinica del Cnr su un campione di 150mila studenti tra i 15 e i 19 anni rivela che il 6% di questi fa uso di psicofarmaci, in particolar modo tranquillanti, per far fronte agli impegni scolastici e allo stress da esame. Un numero non indifferente: otto ragazzi su cento fanno ricorso a pasticche, pillole e piloline, ottenute facilmente oggigiorno grazie a internet, dove si può reperire di tutto senza bisogno di ricetta medica. Ricetta medica che invece è indispensabile per l’acquisto di psicofarmaci. Non è una novità certamente che gli studenti facciano uso di stimolanti e tranquillanti per affrontare una prova come l’esame di maturità (già prima della Seconda guerra mondiale gli studenti facevano uso di tranquillanti in vista del grande esame finale), ma oggi questo uso è diventato estensivo e copre praticamente tutto l’arco scolastico. Secondo la professoressa Silvia Vegetti Finzi, docente di psicologia dinamica, contattata da IlSussidiario.net, “i ragazzi sono sottoposti ad aspettative molto grandi da parte degli adulti”. Di fatto, spiega Vegetti Finzi, “viviamo nella società della competizione dove bisogna eccellere in ogni cosa, dallo sport alla scuola”. La soluzione, dice, sarebbe che gli adulti, insegnanti e genitori, si consultassero e avessero fra loro un rapporto che mirasse al vero senso educativo dell’impegno dei giovani, senza esasperare la competizione, ma sostenendoli a impegnarsi con le proprie forze in modo sereno. 



Dilaga tra i giovani il consumo di psicofarmaci, in particolar modo tranquillanti, grazie alla facilità di poterli acquistare sulla Rete. Di chi la colpa: troppo stress imposto dalla scuola, o fuga dall’impegno da parte dei ragazzi?

Sicuramente questi ragazzi, spesso figli unici, sono sottoposti ad aspettative molto grandi da parte degli adulti, intendo genitori e magari anche nonni. Si aspettano da loro che debbano eccellere in tutto, dagli sport alla vita scolastica. Questo tante volte produce un peso quasi insopportabile e quindi il ricorso a  degli eccitanti per superare questo senso profondo di inadeguatezza e la tentazione che spesso ha il ragazzo di dire: non ce la faccio, e gettare la spugna.



Dalla ricerca risulta che sono le ragazze quelle che fanno maggiormente uso di psicofarmaci.

E’ naturale, e questo perché le ragazze sono intanto psicologicamente più consapevoli dello stress. Magari il ragazzo lo vive, ma lo somatizza e non se ne rende conto. l e ragazze invece hanno una vita interiore più riflessiva e quindi più facilmente si possono convincere di non farcela e ricorrere a dei supporti chimici. In genere la medicalizzazione è sempre maggiormente più femminile in tutto l’arco della vita. Sono le donne a ricorrere a questo tipo di medicinali più degli uomini.



Questo perché succede? Un aspetto tipico della femminilità o la nostra società carica le donne di troppa fatica?

Tutte e due le cose, non si elidono a vicenda. Viviamo nella società della prestazione in cui a tutti è richiesto il massimo, i ragazzi che non tollerano il carico che viene loro dato possono reagire in due modi. O uscendo dalla contesa, dicendo: Non ce la faccio, magari rifiutando di andare a scuola. Oppure ricorrendo a dei farmaci che li aiutino a sostenere lo stress.

In che modo si può combattere questo uso di psicofarmaci nella giovane età?

Direi che andrebbe svolto un lavoro educativo anche relativamente alla capacità di far conto sulle proprie risorse piuttosto che a degli eccessi, siano essi quello di massimizzare la prestazione o quello opposto di annullare qualunque impegno e senso di responsabilità.

 

Un problema educativo, dunque.

Certamente,  sarebbe necessaria soprattutto una alleanza fra adulti, genitori e insegnanti, che dessero il vero senso degli esami non esasperando la competizione. Invece so di genitori che cadono in crisi di depressione se il figlio non arriva primo a qualsiasi competizione. Questo è sbagliatissimo, bisognerebbe dare più un senso sportivo, cioè di partecipare e di partecipare con le proprie risorse onestamente senza ricorrere a scorciatoie.

 

Non è che anche fra i giovani si sia fatto largo quell’idea che basta una pillola, una pillolina magica, idea largamente diffusa nel mondo degli adulti, per risolvere qualunque problema di sofferenza interiore?

 

Lei ha usato la parola giusta: magica. Questo residuo del pensiero magico onnipotente infantile che fa pensare che basta una pillola per risolvere tutte le questioni è purtroppo estremamente presente nella nostra società. D’altro canto molti ragazzini sono sottoposti sin dalla più tenera età a prodotti farmaceutici magari per forme di difficoltà quali la disattenzione. Quindi c’è una medicalizzazione precoce che continua anche nell’adolescenza perché è diventata una forma di  vita. 

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