Che la scuola debba essere un posto dove si rispettano le regole, appare scontato. O quasi. Che cosa invece si debba fare per educare alla legalità, suscita, come è giusto, qualche domanda in più. «Si parla molto di legalità come rispetto delle regole, in realtà lo si fa per sopperire ad una enorme carenza di altri valori che dovrebbero stare prima e sopra l’ovvia necessità di rispettare le regole del vivere comune». Nicolò Zanon, costituzionalista e membro del Csm, interviene sui molti temi sollevati da Claudio Risé nella sua ultima intervista.
Professore, che cos’è la legalità di cui andiamo parlando? C’entra qualcosa con il principio di legalità codificato dalla rivoluzione francese, secondo il quale tutti i poteri sono soggetti alla legge?
Nell’accezione massmediatica tenderei ad escludere connotazioni troppo tecniche. Nell’accezione giuridica è quello che dice lei. Nel primo senso, invece, è una legalità che si colora di accenti etico morali. Risponde ad una normale istanza di etica pubblica e si contrappone al clima diffuso che si crea quando le regole non vengono rispettate perché considerate un impiccio fastidioso.
Legalità, in questo senso, è dunque il normale, dovuto rispetto della legge.
Si tratta esattamente di questo.
Se è «rispetto» della legge, il problema non è solamente giuridico ma anche morale.
È questo il punto. Si parla molto di legalità come rispetto delle regole quando in realtà si vuole dire qualcos’altro. Si tende a recuperare il valore della legalità per sopperire ad una enorme carenza di altri valori, che dovrebbero stare prima e sopra l’ovvia necessità di rispettare la legge e cioè le regole del vivere comune.
Pare che lei stia parlando di un livello pre-giuridico.
Certamente. Il dibattito sul legalismo positivistico ci ha dato almeno questo risultato, che l’astratta legalità priva di riferimento al valore non basta più. Prescindere dal valore è una ipotesi teoricamente abbandonata e storicamente insostenibile, anche alla luce delle derive totalitarie del secolo scorso, che della legalità positivistica costituiscono un estremo, coerente, drammatico approdo.
Là dove l’illegalità è più diffusa è perché non si insegna il diritto nelle scuole?
Mi sembra arduo sostenere una cosa simile. È molto difficile che un insegnamento di regole astratte, soprattutto quando questo è rivolto a giovani o giovanissimi, risulti coinvolgente. L’avvicinamento al valore, a una corretta etica pubblica o al giusto rapporto con gli altri passa attraverso degli esempi concreti, riferimenti a vicende e persone che abbiano autorevolezza e anche l’appeal necessario per essere persuasivi.
Allora che cosa facciamo?
Non nego che si possa pensare ad un insegnamento di base dedicato a far comprendere la ragione profonda di certe regole del vivere comune. Sull’ipotesi che questo debba essere fatto in ogni ordine di scuola, fin dalla tenera età, avrei più di una riserva. L’educazione civica di una volta poteva secondo me essere considerata un modo equilibrato di presentare i principi più importanti della convivenza civile.
Esiste secondo lei il rischio, oggi, di scambiare lo studio del diritto con lo strumento di un’etica pubblica?
Direi di sì. Ho visto spesso trasformare la Costituzione in una sorta di icona sostitutiva di un sistema di valori che altrimenti sarebbe tramontato. E questo un po’ preoccupa, perché in questo modo si fa della suprema Carta non quello che è − un insieme di principi che regolano la vita pubblica −, ma il manifesto di un’etica che si pretende condivisa intimamente dai singoli cittadini.
Una posizione francamente antiliberale.
Sì, perché il diritto serve a regolare i comportamenti esterni, mentre il foro interiore è per sua natura un foro assolutamente libero, dotato del diritto di reclamare la sua libertà anche rispetto a certe proclamazioni di principio della Costituzione. Nell’enfasi che si mette in certi atteggiamenti vedo posizioni affatto liberali. Idealizzare la Costituzione, farne una Bibbia laica, è una pretesa indebita innanzitutto verso la Costituzione stessa.
Da dove proviene questa «mistica» della Costituzione?
Dalla volontà di idealizzare a livello politico-ideologico un documento che invece è profondamente storicizzato e comprensibile nel quadro di precise vicende che hanno segnato la vita del nostro Paese. Mi riesce francamente difficile pensare alla nostra Carta come ad un prontuario dei valori che il buon cittadino deve interiorizzare. Se io fossi per una revisione della Costituzione, sarei un reprobo dell’etica pubblica? Ci vuole cautela.
È possibile spiegare la Costituzione senza fare riferimento alla sua storia?
Direi proprio di no. La storia spiega le ragioni del suo successo, l’evoluzione della storia spiega anche, per esempio, perché vi siano ragioni per fare cambiamenti. È proprio del positivismo legalista idolatrare ogni virgola posta dal potere. Di quella ideologia non abbiamo più bisogno.
Se la legge positiva non è l’unica legge, allora vien da pensare che il rispetto della legge che viene prima dei codici non si impari nei codici.
Se vedo un incidente e c’è una persona da soccorrere, che cosa mi dovrebbe indurre a farlo? Non il fatto che il codice penale punisce l’omissione di soccorso, ma una naturale propensione alla solidarietà tra gli uomini. Che non dipende dalle regole giuridiche o da una astratta educazione alla legalità, ma da un atteggiamento di fondo dell’essere umano che vivendo insieme ad altri esseri umani si abitua a considerare normale una solidarietà tra le persone.
Come c’è una mistica della Costituzione, c’è anche una mistica della legalità?
Oggi si parla di legalità riferendosi a situazioni che prescindono del tutto dal rispetto di regole elementari. Questo però attiene a un’opera profonda di educazione umana che riguarda tutti gli aspetti dell’esistenza. Che vi si possa rimediare con un insegnamento prettamente disciplinare e astratto come è quello delle regole giuridiche, mi sembra illusorio e fuorviante.
(Federico Ferraù)