Caro direttore,
la scuola non sta attraversando un grande momento. Nessuno pretende che il ministro Profumo abbia la bacchetta magica, e per uscire dalle secche di una situazione compromessa ci vorranno tempo ed energie, ma una cosa il ministro deve ai giovani: trattarli per quello che sono, per la dignità che hanno. Quello che è accaduto in questo mese è invece il segno preoccupante che al ministero si assommano superficialità e incompetenza, con il risultato che a farne le spese sono i giovani, con le loro attese e le loro aspirazioni.
Il ministro Profumo si è permesso una cosa che una democrazia non può tollerare: prima ha illuso i giovani dichiarando che chi di loro ha già insegnato in questi anni avrebbe potuto accedere direttamente al tirocinio formativo abilitante, poi li ha delusi amaramente con uno scarno comunicato il cui senso, in pratica, è “perdonatemi, scherzavo. Non è possibile che voi prendiate la corsia preferenziale come vi avevo ahimè detto, e non perché non lo meritiate ma per un’altra ragione, e cioè che l’iter di approvazione non potrà concludersi in tempi brevi per la necessaria e prescritta acquisizione di tutti i pareri degli Organi Consultivi previsti”.
Ma il ministro non lo sapeva, quando ha promesso a chi insegna già di saltare i test selettivi di luglio? Una scena kafkiana quella cui assistiamo, non accettabile in una società cui dovrebbe stare a cuore il bene dei giovani. Non è un bel segnale quello che viene dal ministero, se il bisogno del lavoro piuttosto che essere preso sul serio viene usato per affermare un potere, il potere di chi è forte, di chi ha una collocazione sociale, di chi ha una sicurezza, ai danni di chi è debole, di chi guarda con ansia al futuro perché teme non vi siano prospettive sicure. Che un ministro si permetta di trasformare in gioco quella che per molti giovani è una questione di vita, non è accettabile. Indica una perdita di sensibilità per l’umano proprio in uno degli ambiti che dovrebbero essere in prima fila a promuoverlo.
La realtà è che dopo un tonfo così pesante non si può aspettare che vengano i tempi per approvare quello che il ministro ha promesso, e cioè che chi già insegna possa accedere direttamente al Tfa. Chi ogni mattina entra in una classe per accompagnare i suoi studenti nell’avventura della conoscenza ha già le condizioni minime per prendere la strada dell’abilitazione. Questo il ministro Gelmini non l’aveva capito, il ministro Profumo sì, però è rimasto vittima della burocrazia istituzionale per cui la sua dichiarazione, che in realtà era dettata da una buona intenzione – quella di sanare un’ingiustizia – è diventata peggio della ingiustizia cui voleva porre rimedio, perché ha il sapore della beffa. Il ministro Gelmini non ha capito che bisogna distinguere tra abilitazione e reclutamento; il ministro Profumo invece ha colto il problema, ma troppo tardi, tanto da rischiare di passare alla storia, ad oggi, come ministro del grande inganno.
E ora che fare? Per i giovani c’è da fare la prova selettiva del Tfa, ci si prospetta un giugno di studio e un luglio di fuoco, sperando che i test siano stati elaborati da professionisti della scuola, quindi da insegnanti che vogliono andare a scovare giovani appassionati all’insegnamento e con le capacità per intraprendere questa avventura. Mentre si svolgerà questo iter selettivo il ministro ha un compito, che non è solo quello di realizzare i moduli aggiuntivi ai corsi di Tfa: deve fare qualcosa in più, quello che il pasticcio che ha combinato gli chiede, rivedere il sistema abilitante che gli ha malauguratamente preparato il suo predecessore. E per rivederlo deve operare in una sola direzione, quella di rendere possibile a tutti il diritto all’abilitazione.
Al ministero dell’Istruzione deve entrare per la porta una idea semplice, che non bisogna stabilire un numero chiuso per l’abilitazione, perché abilitarsi è una possibilità che deve essere concessa a tutti. Altra cosa è il posto di lavoro, è l’insegnamento; lì sì che bisogna trovare un sistema efficace di reclutamento, così che a insegnare ci vada oggi chi merita ed è appassionato.