Studenti che si sottopongono a flebo di aminoacidi durante gli esami in classe. Non è un film horror, ma quanto accaduto in Cina in quella che è una se non la più rinomata scuola del Paese, la Numero Uno – lo dice anche il nome – di Xiaogan. La notizia ha fatto il giro del mondo e quando gli stessi studenti sono stati interrogati al proposito, hanno detto di averlo fatto per libera scelta e non perché obbligati dagli insegnanti. Perché lo hanno fatto? Per fortificarsi durante gli esami di maturità, considerati impegnativi e allo stesso tempo fondamentali per poter poi accedere alle migliori università e alle più brillanti carriere professionali. Un modo per combattere lo stress e la fatica accumulata: aghi infilati nelle vene e via con la testa piegata sui libri e sui quaderni.
Un episodio che apre interrogativi legittimi sui sistemi educativi e che, alla luce del ruolo leader della Cina sulla scena economica mondiale, porta a chiedersi se tali sistemi potranno mai attecchire anche in Occidente, pur di combattere la supremazia cinese. Secondo Giuseppe Bertagna, contattato da IlSussidiario.net, “sarebbe semplicistico dal punto di vista antropologico non tenere conto che quanto successo in Cina fa in fondo parte di una tradizione millenaria locale dai tempi dei mandarini”. La tradizione occidentale invece, aggiunge, “valorizza la persona: la persona per noi è importante, abbiamo una tradizione in cui la persona è singolare, libera e responsabile. Risponde delle sue scelte, è unica e originale e dunque creativa”. Allo stesso tempo però Bertagna sottolinea come anche da noi l’attuale sistema degli esami che risale all’epoca del fascismo mette a dura prova tale libertà e originalità del singolo con un sistema in cui si valorizza la pratica amministrativa e burocratica: “la scuola diventa la scuola per gli esami e non gli esami per la scuola”.
Professore, quanto accaduto in Cina potrà mai attecchire anche da noi in Occidente?
Il fatto in questione come si evince ad esempio dalla tradizione mandarina è abbastanza consueto perché 3500 anni di storia non si cancellano all’improvviso. Questa competitività che non tiene conto della persona e dei diritti della persona in quanto tale e poi questa ascesa, che è ascesa sociale ma non solo, si collega alla tradizione culturale orientale. In sostanza: noi non ce l’abbiamo.
Dunque un fenomeno puramente cinese?
Non solo cinese, ma in parte anche giapponese, coreano e di altre Paesi. Teniamone conto, per non giudicare l’Oriente e queste sue pratiche con le categorie che adoperiamo noi.
Perché?
Sarebbe peccare di semplicismo antropologico. Non sono modelli da trasferire da noi. Noi dobbiamo guardare alle nostre tradizioni e al nostro contesto e il modo migliore è sostenere gli esami che dobbiamo fare. Tenendo conto che una volta da noi gli esami non c’erano, c’erano i capolavori.
Cosa intende con questa frase, quali capolavori?
Penso ad Andrea del Verrocchio che prende nella sua bottega Leonardo. Non è che nelle botteghe rinascimentali o del seicento o nelle officine fino all’800 si diventasse competenti in una professione qualificata, avente complessità tecniche relazionali, sociali e giuridiche straordinarie, tramite degli esami. Era un percorso di solito per apprendistato, si imparava da un maestro. Alla fine erano il maestro e il collegio dei maestri a dichiarare, sulla base di un capolavoro prodotto dall’allievo nonché sulla base della testimonianza stessa del maestro, se il ragazzo era diventato competente.
Immagino valesse solo per un certo tipo di bottega, quella artistica.
No, accadeva per i ragionieri e per tutte le tipologie professionali . E’ andato avanti fino così agli anni Venti del secolo scorso in molte circostanze. E’ dalla legge De Stefani del 1921 che diventa diffusa in tutti gli ordini e gradi di scuola la pratica degli esami. Certo, hanno una loro tradizione: basti pensare alla Ratio Studiorum gesuitica e quindi ai licei nella modernità. Però bisogna pensare che erano esami riservati al 2 per cento della popolazione, anzi all’1,5 per cento. Non erano di massa.
Come diventano un fenomeno di massa?
La vera “scoperta” dell’esame come metodo di massa avviene dal fascismo in poi, che ancora pensava l’istruzione per una scuola elitaria e selettiva, destinata a poche persone. Dopo il fascismo, l’esame diviene invece uno strumento adoperato per il 100 per cento della popolazione studentesca. Provocando non poche distorsioni.
Che tipo di distorsioni?
La scuola diviene funzionale agli esami: la scuola per gli esami e non gli esami per la scuola. Quindi gli esami, invece di essere un’occasione per far crescere le persone, diventano una costrizione di massa di stampo burocratico.
La libertà delle persone sotto il controllo dello Stato?
Sì, se potessimo prescindere dalle dinamiche storiche. Se lo pensassimo come l’elaborazione di un paradigma sul piano ideale e teorico lei avrebbe ragione. Sul piano storico è senza dubbio vero che la popolazione nel suo complesso è stata coinvolta nei processi di istruzione proprio perché lo Stato è intervenuto in modo sistematico e burocratico come ha detto lei; ma così facendo ha pur sempre creato le condizioni per un allargamento straordinario dell’opportunità informativa.
Come invece si sarebbe dovuto procedere?
Il problema sarebbe stato di contenere il meglio della vecchia tradizione con le risorse che solo lo Stato poteva mettere a disposizione. Perché fino a che interviene la filantropia o la carità o la solidarietà di quartiere o di comunità va bene, ma quando invece le tasse vengono raccolte dallo Stato e lo Stato non valorizza un esempio di sussidiarietà, quelle stesse iniziative vengono escluse dal governo e dai processi di istruzione.
Avremmo avuto una storia educativa diversa.
La storia non si fa con i se. Non so cosa sarebbe potuto succedere se lo Stato avesse applicato l’articolo 118 della Costituzione (principio di sussidiarietà, ndr) che peraltro non applichiamo neanche adesso perché lo Stato se ne infischia; se lo avessimo cioè applicato davvero nel 1850, nel 1890, fino al 1920, ma soprattutto nel 1948 quando la Costituzione lo ha permesso. Non lo abbiamo fatto, siamo andato avanti con il medesimo impianto inaugurato con l’Unità d’Italia che era di tipo liberale fino a quando è intervenuto il fascismo. Poi con il fascismo lo Stato è diventato il moloch che ha monopolizzato l’intero sistema. Nessun sistema può però essere autoreferenziale fino a questi livelli. Produce tossine che sono ingestibili. Continuiamo da vent’anni a dire: non facciamo concorsi, sostituiamoli con procedure più qualificanti e più rispettose delle eccellenze e delle qualità. Ma poi facciamo i concorsi nella medesima maniera.
Questo cosa comporta, professore?
Si selezionano dirigenti che dal punto di vista della vocazione non sono adeguati, però hanno risposto ai quiz, hanno fatto le procedure previste, che non qualificano la competenza ma obbediscono a regole burocratiche e amministrative che formalmente sembrano di equità, ma che sostanzialmente producono iniquità. Queste conseguenze si moltiplicano e investono in modo negativo gli alunni, le famiglie e la società. Non aumentano la qualità del sistema. Se invece le persone rispondono a criteri sostanziali di vocazione educativa, questa aumenta la qualità dell’intero sistema e lo migliora col tempo.
Tornando alla domanda iniziale, non c’è dunque il rischio che per poter competere economicamente con la Cina si arrivi a impiantare sistemi educativi simili al loro?
Il modello asiatico, lo diceva già Karl Marx nel Capitale, non è un modello. Noi invece abbiamo la persona, la persona per noi è importante, abbiamo una tradizione in cui la persona è singolare, libera e responsabile. Risponde delle sue scelte, è unica e originale e dunque creativa. Capisco che la serialità possa dare vantaggi competitivi anche nell’economia, penso a tutte le aziende occidentali che vanno a produrre in Cina, ma alimenta anche un sistema di sfruttamento. Se la mia valutazione si riduce alla mia capacità di saltare in lungo tre metri, e per arrivare a questo si sono perdute 99 persone, ciò non va bene. Bisogna invece consentire l’eccellenza anche di chi salta solo un metro perché magari gli manca una gamba: quella è la mia eccellenza. La libertà e il suo carattere metafisico non sono un “aggeggio” sociale che valorizza i singoli come meri membri di una classe o di uno Stato con le regole che li governano. Da noi insomma questo sistema, questo modello cinese non potrà essere mutuato.
(Paolo Vites)