Leggendo le novità della letteratura italiana e straniera, i prodotti di autori under ed over 40, mi sorge spontanea una domanda che non è legata alla buona o mediocre confezione del prodotto e che può apparire di lana caprina. Per attirare il lettore è indispensabile raccontare storie che si snodano a partire da situazioni di ordinaria follia o da segreti/eventi che condizionano pesantemente una tranche de vie? È pur vero che la cronaca quotidiana ci informa morbosamente di situazioni limite che accadono a persone che hanno un nome e cognome ma che sono lontane da noi. E in tutti noi nasce un senso di raccapriccio, di compassione e di speranza che non capiti a noi e alla nostra cerchia familiare e amicale nulla di simile.
Forse che una vita più vicina alla nostra, apparentemente “regular” ma piena di avvenimenti e di ricerca del proprio ubi consistam non abbia un appeal? Un libro è sempre un incontro con un’esperienza in cui ci si possa specchiare e che susciti un paragone con le nostre gioie, le nostre ansie, i nostri progetti, la nostra ricerca.
Bene. I libri di Luigi Ballerini (si ricorda il premiato a livello internazionale Zia Dorothy), mettono in scena storie di ordinaria inquietudine. Merito accentuato dal fatto che Ballerini scrive per e di ragazzi adolescenti che lui conosce anche attraverso la sua professione di psicoanalista. Conosce vite segnate da ferite più o meno profonde, ansie che si affacciano sull’indeterminatezza del futuro, bisogni primari che coetanei o adulti non sanno colmare.
Eppure i suoi libri sono solari anche quando narrano i mal d’anima e di viscere dei ragazzi d’oggi. Anche la sua ultima fatica Non chiamarmi Cina (Giunti, uscito il 6 giugno) possiede questa cifra.
Gli ingredienti sono apparentemente semplici e quasi scontati: due ragazzi, lui italiano, lei di origine cinese si incontrano casualmente e ne nasce una love story. Fin qui tutto già visto, ma il talento di Ballerini fa dipanare da questo universale bisogno affettivo una serie di ostacoli che non sono legati alla volubilità dei sentimenti. I due ragazzi sono creature di culture e stili di vita diversi, potrebbe essere una tragedia ma non lo diventa nel dipanarsi degli eventi, diventa quasi una risorsa. Infatti Toto e Rossana, questi nomi dei ragazzi, attraverso dialoghi dapprima impacciati, poi sempre più liberi e profondi, imparano a conoscere meglio se stessi, crescono nelle loro qualità e smussano gli angoli del loro modo di concepire la vita, i rapporti, lo studio, i desideri per il futuro. Lo scrittore non scivola mai nel patetico e nel compassionevole. Presenta un “meticciato” di vite in cui i protagonisti condividono domande e desideri propri dell’adolescenza e, forse, dell’intera vita.
Alla fine della storia, che presenta un finale aperto, non c’è un happy end o una dichiarazione di impossibilità. Ma, come scrive Ballerini nella postfazione, un augurio “di trovare una buona bussola con cui orientare la vita e compiere le scelte che vi portano all’età pienamente adulta”.
Quanto è diverso il respiro di questo prezioso libro dal fiato corto attraverso cui si dipana la storia che racconta il libro di Peter Cameron Un giorno questo dolore ti sarà utile da cui è stato tratto il film di Roberto Faenza. Là c’è un ragazzo un po’ particolare a cui gli adulti chiedono con nonchalance “Ma tu sei gay?” non prestando più di tanto attenzione alla risposta. Ballerini fa crescere i due ragazzi nella loro capacità di decisione e nelle risposte alle loro domande grazie a rapporti amicali tra coetanei perfettamente descritti e ad adulti che guardano, sia pur dalle loro diverse culture, ai ragazzi con una discrezione che genera autorevolezza e punto di riferimento riconosciuto ed apprezzato, soprattutto da Toto. Ci sono i suoi genitori che a scelte importanti (giocare in una squadra di calcio di un certo livello) antepongono la felicità del figlio, c’è il Mister della squadretta in cui gareggia Toto, ci sono gli amici fidati a cui chiedere consigli e raccoglierli fiducioso. Rossana sembra la più provata dalla vita, ma il padre di Toto ad un certo punto elenca al figlio i cambiamenti determinati in lui dal rapporto con la ragazza sintetizzando “Quindi il rapporto con lei ti ha fatto bene, sotto molti aspetti”.
Ballerini ci fa entrare nel mondo adolescente di oggi mostrando una consistente conoscenza di esso, descrivendolo nella sua manifestazione quotidiana, mai esasperata, realistica, senza indulgere sulle tanto declamate tempeste ormonali e psicologiche dell’età. Strizza l’occhio con benevolenza da adulto responsabile, prima ancora che amico e compagnone.
Il linguaggio con cui si racconta l’io narrante è felicemente un mix tra una lingua piana, immediata ma corretta e un’indulgenza al gergo/slang dei ragazzi, senza lerciume lessicale ( i “figo”, i “che palle”, i superlativi assoluti reiterati e il prefisso “stra” anteposto a molti lemmi non infastidiscono; rendono reale e pur simpatico un modo di esprimersi che manifesta la fame di vita e l’entusiasmo propri degli adolescenti).
Un libro ben scritto (e Dio sa quanto i ragazzi abbiano bisogno di incontrare una lingua viva ma corretta!), un messaggio di speranza per chi sta attraversando una fase della vita caratterizzata dall’indeterminatezza, un respiro che ossigena anche noi adulti a volte più preoccupati che consapevoli delle fatiche dei nostri ragazzi, fatiche che aiutano a crescere, soprattutto se condivise con loro.
Una storia, quella di “Cina”, di ordinaria normalità contemporanea ma che diventa straordinaria perché affrontata fino in fondo con la eccezionalità che caratterizza ogni singolo individuo che cerca il proprio destino. È un incontro che, se vissuto in pienezza, corrobora e rende speciale la propria persona.
Facciamo leggere il libro di Ballerini ai nostri ragazzi e magari, in qualche breccia del nostro tempo convulso di adulti, sfogliamolo anche noi.