La Corte costituzionale, con sentenza n. 147 del 4 giugno, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19 comma 4 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

La disposizione annullata conteneva due previsioni, strettamente connesse: l’obbligatoria ed immediata costituzione di istituti comprensivi, mediante l’aggregazione della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e di quella secondaria di primo grado, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche costituite separatamente, e la definizione della soglia numerica di mille alunni per gli istituti comprensivi al fine di acquisire l’autonomia.



La Corte costituzionale ha confermato in questo modo la propria giurisprudenza emersa nelle ultime sentenze, ed in particolare la 200/2009, la 235/2010 e la n. 92/2011, secondo la quale la rete scolastica e il dimensionamento degli istituti sono materia che “non può ricondursi nell’ambito delle norme generali sull’istruzione e va, invece, ricompresa nella competenza concorrente relativa all’istruzione”, poiché “il dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche è ambito che deve ritenersi di spettanza regionale”.



Essendo la quarta sentenza in quattro anni che ribadisce il concetto, si spera che lo Stato lo abbia finalmente compreso.

Il fatto è che lo Stato – e segnatamente il Ministero dell’Istruzione – agisce con disposizioni di dettaglio sulla rete scolastica per operare il coordinamento della finanza pubblica. La stessa Avvocatura dello Stato, nella memoria difensiva citata dalla sentenza, esplicita che l’articolo 19 comma 4, in attuazione degli obiettivi finanziari, determina evidenti risparmi di spesa “derivanti dalla riduzione del numero di istituti scolastici di 1.130 unità e dei posti di dirigente scolastico e di direttore dei servizi generali e amministrativi”.



Tale operazione è impropria poiché, come ribadisce la sentenza, le “norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi” (sentenza n. 326 del 2010).

Non potendo più determinare i criteri di dimensionamento della rete scolastica regionale lo Stato si trova ora in qualche modo ostaggio dei propri criteri di riparto dell’organico, il quale è direttamente connesso alla situazione della rete scolastica.

Infatti l’articolo 2 comma 2 del Decreto Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81 “Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola” stabilisce che le dotazioni organiche complessive siano definite annualmente sia a livello nazionale che per ambiti regionali in base anche all’articolazione dell’offerta formativa, alla distribuzione degli alunni nelle classi e nei plessi, alle caratteristiche dell’edilizia scolastica.

La sentenza 147/2012 conferma che lo Stato non è in grado di definire questi tre elementi, con la paradossale conseguenza che esso si trova costretto ad assegnare una quantità di organico maggiore alle Regioni con una rete scolastica, un’offerta formativa ed una situazione dell’edilizia meno efficiente: plessi piccoli, offerta duplicata e sovrapposta, edifici con classi poco spaziose, che determinano la moltiplicazione di classi con pochi studenti.

Anche al fine di operare un efficace coordinamento di finanza pubblica, lo Stato deve dare una svolta al proprio apparato regolamentare ed organizzativo, riconoscendo la piena responsabilità delle Regioni e degli Enti Locali nel governo della rete scolastica.

Lo Stato deve definire un contingente di organico nazionale adeguato all’erogazione dei servizi essenziali e cambiare i criteri di riparto alle Regioni, renderli indipendenti dagli elementi che non può governare, cioè definirli in rapporto a costi e fabbisogni standard, come già avviene per la sanità, quindi essenzialmente basati sul numero di studenti dei diversi ordini e gradi, con alcuni correttivi legati alla situazione della distribuzione della popolazione, alle condizioni socio economiche e ad altri che si potranno definire in un’intesa tra Stato, Regioni ed Enti locali.

Sarà poi responsabilità delle Regioni e degli Enti locali operare una programmazione dei servizi che riesca a garantire il buon funzionamento del sistema scolastico con l’organico a disposizione.

Un riparto delle competenze e delle responsabilità del sistema scolastico tra i diversi livelli istituzionali rende peraltro necessaria l’individuazione e la messa in trasparenza di livelli essenziali delle prestazioni sostenibili che tutte le istituzioni competenti, ciascuno per il proprio compito, devono garantire.

È evidente che si dovrà prevedere una gradualità dei tempi, che consenta ai territori oggi meno efficienti di raggiungere livelli adeguati di strutture edilizie e di rete scolastica, nonché un riassorbimento del personale in esubero, ma lo Stato deve iniziare un percorso che porti ad una chiarezza di rapporti istituzionali, chiamando ciascuno alla propria responsabilità.

È in tale quadro complessivo che, nonostante l’annullamento dell’articolo 19 comma 4, si auspica che le Regioni non interrompano l’importante processo di riorganizzazione della rete scolastica che questo aveva avviato. Al contrario, come per esempio pare già che l’Assessorato all’istruzione della Regione Lombardia intenda fare, le Regioni devono adottare di propria iniziativa criteri per il dimensionamento orientati ad avere scuole autonome correttamente dimensionate sia per consentire un’efficace organizzazione interna ed un giusto peso nei rapporti con il territorio che solo una scuola di buone dimensioni può avere, sia per farsi carico responsabilmente di una rete di servizi che sia sostenibile con il contingente organico assegnato loro.