Se ne è parlato molto negli ultimi mesi ed ora sembra che sia tutto pronto. Il progetto dell’insegnamento del dialetto friulano nella scuola dell’infanzia, a livello ludico e nelle classi delle primarie, con ore dedicate, sembra aver tutti i crismii per poter partire. Sono, infatti, già 350 gli insegnanti con requisiti adatti per insegnare la lingua friulana: il Friuli Venezia Giulia è la prima regione a introdurre una lingua minoritaria fra le materie comunemente insegnate a scuola attraverso un iter ad hoc messo in atto della Giunta Regionale attraverso la predisposizione di un regolamento attuativo. Il tutto è stato fatto perché non si perdesse ulteriormente tempo: è, infatti, dal 1999 che si discute periodicamente dell’introduzione del dialetto friulano nel curriculum scolastico.



Sarà, comunque, a discrezione dei genitori se avvalersi della possibilità di far partecipare i propri figli ai corsi aggiuntivi che vengono, in ogni caso, svolti durante le regolari ore di lezione: il provvedimento prevede che durante l’anno scolastico, siano almeno trenta le ore dedicate alla lingua in tutti gli istituti della Regione. “Tutti i provvedimenti che riguardano i dialetti o lingue locali, come il friulano – dice Luca Serianni, docente ordinario di Storia della lingua italiana nell’Università La Sapienza di Roma – vanno bene, purché non incidano nel monte ore complessivo. Può essere una materia in più ma non deve intaccare il resto”.



Ma è necessario per un curriculum scolastico? “In generale penso di no: il problema si pone per quei dialetti o idiomi locali che hanno uno statuto riconosciuto, come nel caso del friulano o del sardo. Il motivo è abbastanza chiaro: le comunità locali desiderano tutelare le loro tradizioni”. Pensa che il provvedimento possa essere esteso ad altre regioni? “Certo – afferma Serianni -; alla luce di una legge che è stata approvata anni fa per la Sardegna e per le comunità albanesi sparse nell’Italia meridionale dove, non mi pare, che ci siano state richieste di insegnamento. Non sarebbe pensabile farlo per altri dialetti che, fra l’altro, non hanno quello statuto di riconoscimento”. 



Resta il problema del reclutamento degli insegnanti. “Certo non è facilissimo – continua Serianni – trovare una competenza non solo per ciò che riguarda la lingua in sé ma anche per la capacità di insegnarla”. Dello stesso parere, su questo punto, il professor Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca. “Occorre stabilire chi insegna e come lo fa. L’insegnamento è un’operazione estremamente delicata, diversa dall’apprendimento”.

Cosa intende con questa distinzione? “L’insegnante di lingua deve avere una competenza riflessa di tale linguaggio: non basta, in pratica, parlare una lingua per essere in grado di trasmetterla tecnicamente a qualcun altro. Occorre uno studio rigoroso nonché scientifico e didattico, e mi risulta che i nostri laureati sanno davvero poco di dialettologia. Sono idiomi vivaci, interessanti da studiare scientificamente ma insegnarlo è tutt’altra cosa. Purtroppo, si fa molta confusione fra il valore degli idiomi locali, linguaggi espressivi di pratica utilità in alcuni ambienti ristretti e preziosi per alcuni documenti storici e, dall’altra parte, i processi educativi e di istruzione formalizzata, in questo caso di alunni giovanissimi. Gli idiomi locali si possono apprendere abbastanza facilmente in maniera spontanea da chi li usa correntemente e per funzioni reali. Diverso è il discorso per le operazioni di insegnamento che richiedono tutt’altra impostazione e che, a volte, rischiano di creare equivoci”.

In che senso? “L’insegnamento delle lingue – continua Sabatini – e quindi anche di idiomi locali si può attuare quando di questi ultimi esiste uno standard facilmente riconoscibile, una tradizione scritta non solo poetica o letteraria ma estesa ad ambiti tecnici, scientifici e giuridici”. Sabatini auspica, poi, che l’insegnamento non tolga spazio ad altre discipline: “sarebbe veramente un male ma anche un torto fatto ai ragazzi, soprattutto in questo periodo di difficoltà finanziarie”.

Tutto negativo, dunque? “Resta sempre la possibilità di rendere una lingua piacevole, familiare e quindi conosciuta nella sua varietà locale: non dimentichiamo che i dialetti cambiano anche a distanze cortissime, persino di pochi chilometri attraverso conversazioni, letture di novelle, canti o proverbi per dare ai linguaggi locali l’importanza che si meritano. L’insegnamento formalizzato, per me ma immagino per la maggior parte dei linguisti, è quasi impossibile e molto improduttivo”.