Respinti in prima elementare. Fa molto discutere, e non solo, il caso della scuola Giulio Tifoni di Pontremoli, in provincia di Massa Carrara, dove sono stati bocciati cinque piccoli alunni che solo quest’anno hanno iniziato la propria carriera scolastica. I bimbi, tre extracomunitari e due italiani, di cui uno disabile, facevano parte di due classi molto numerose: 30 e 29 scolari. Proprio su questo si appigliano i genitori dei piccoli che le definiscono “classi pollaio” e attraverso una class-action si stanno muovendo per fare al più presto ricorso e presentare una richiesta di risarcimento danni al ministero dell’Istruzione e ai dirigenti scolastici.
Sostenuti dal Codacons, le stesse famiglie avevano già fatto ricorso al Tar per il numero elevato di alunni per classe, ma senza alcun risultato concreto. Dal canto suo, il Miur si sta muovendo per appurare se sia il caso di inviare un pool di ispettori alla Tifoni in modo da accertare che tutto si sia svolto nel massimo rispetto dell’autonomia della scuola e della professionalità degli insegnanti. Le proteste e i ricorsi, però, non si fermano ai confini toscani e approdano fra i banchi di Montecitorio, dove sia Pd che Pdl hanno presentato due interrogazioni direttamente al ministro Francesco Profumo invitando a fare alla chiarezza e chiedendo l’invio a Pontremoli di ispettori ministeriali. Abbiamo chiesto, per Il Sussidiario.net, un parere a Marcello Tempesta, pedagogista.
Innanzitutto, trova giusto bocciare in prima elementare?
Relativamente al caso specifico occorrerebbe un supplemento di conoscenza. Partendo dalla buona fede e da un minimo di competenza degli insegnanti, bisogna capire, per primo, cosa si intende per valutazione poiché su questo punto molte volte possono nascere degli equivoci. La si può intendere in molte accezioni: o come un fatto misurativo, o punitivo oppure ancora, come un pro forma, qualcosa, cioè, di poco utile. Invece, ritengo che la valutazione sia uno strumento serio, importante ed educativo: la si dovrebbe intendere come un processo che accompagna tutto il percorso didattico condiviso che serve a riconoscere e ad attribuire valore e non solo a misurare. In alcuni casi, paradossalmente, una bocciatura può essere per il bene del ragazzo se è argomentata, necessaria e se non è punitiva. Naturalmente, nel caso di un bambino di prima elementare la questione è molto delicata e, tendenzialmente, giudicherei la bocciatura un caso estremo poiché ci si trova all’inizio di un percorso educativo e proprio per questo occorrerebbe applicare delle attenzioni molto maggiori rispetto ad un adolescente o di un giovane.
La motivazione degli insegnanti è stata imputata al “non raggiungimento degli obiettivi minimi”. Secondo lei è corretto giudicare alunni così piccoli in base a termini “matematici”?
Associo a considerazione di carattere tecnico, in quanto persona che si occupa di processi educativi, anche un’esperienza personale. Per il primo aspetto, ritengo che mai la valutazione debba essere una mera misurazione, ma sempre un colpo d’occhio sintetico su un percorso che ha come scopo non la sanzione ma come sostenere il difficile cammino della conoscenza; discorso che vale alla seconda potenza per un bimbo così piccolo che potrebbe essere bloccato nel suo processo di sviluppo e leso nella sua autostima. Quand’anche i risultati fossero di tipo “sommativo”, in molte scuole si applicano valutazioni di tipo biennale, operando una sorta di apertura di credito per il primo anno e rinviando al secondo il giudizio finale. Metodo che trovo appropriato poiché fornisce una seconda chance a chi fatica più degli altri e giudica anche, e soprattutto, come evolve il processo formativo. La valutazione, infatti, non deve essere svolta in termini assoluti ma in termini relativi. Ci sono alcuni passaggi dall’insufficienza grave all’insufficienza che valgono più di molti buoni voti poiché rappresentano autentici trionfi per i progressi svolti da scolari in gravi difficoltà. Naturalmente, un ragazzo disabile o straniero presenta condizioni più problematiche, senza con questo voler indulgere in alcun buonismo. Oggi, purtroppo, si tende ad oscillare fra atteggiamenti di tipo assistenzialistico e quelli neorigoristici, dimenticando che la valutazione è volta a valorizzare al massimo un percorso di miglioramento personale.
Passando al secondo aspetto: qual è stata la sua esperienza personale?
Sono padre di tre figli e la più piccola ha avuto problemi a livello di linguaggio nei primi anni di vita. Se non avessimo trovato insegnanti di larghe vedute che si sono impegnate nel suo processo di crescita, avremmo potuto avere un blocco precoce con conseguenze molto negative: è stato, invece, attuato un processo consapevole e trasparente, scevro da alcun tipo di lassismo, di medio-lungo periodo e la bambina, incoraggiata, ha dato risultati inaspettati, superando tutti i suoi problemi.
Ritiene che una soluzione valida potesse essere quella di isolare in una classe ad hoc, i bambini con problematiche più gravi di apprendimento?
In generale, esistono pregi della co-educazione, cioè inserire i bimbi all’interno di contesti più variegati e per questo più stimolanti. Penso che un mix di entrambe le soluzioni possa essere la cosa più adeguata.
I genitori giustificano la bocciatura dei figli per l’eccessivo affollamento nelle classi che non ha permesso, di conseguenza, un percorso formativo appropriato. Qual è il suo parere?
E’ chiaro che in contesti non particolarmente numerosi si riesce a lavorare meglio: segnalo, però, il fatto che la media europea degli studenti per classe non è certo più bassa di quella italiana. Anzi, in Italia abbiamo uno dei rapporti più alti fra numero di insegnati e alunni. Forse, andrebbero riattivate una serie di dinamiche per stimolare, ma prima ancora, valutare la professionalità del docente.
A proposito di insegnanti: dov’è, dunque, il limite fra la “comprensione” dei docenti nei confronti di casi piuttosto difficili e l’obiettivo di educarli?
Io sono per una scuola inclusiva-di qualità. Sembra un ossimoro ma è ciò a cui dobbiamo tendere. Larga parte dei genitori non è soddisfatta della scuola “di massa” ma d’altro canto non possiamo pensare di tornare agli anni 50, quando la scuola badava al ceto dell’alunno e riproduceva le differenze sociali. Occorre valorizzare il grande obiettivo storico raggiunto dell’allargamento dell’istruzione a fasce estese della popolazione, sebbene non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo di una scuola di qualità. E con questo termine non intendo una scuola contraddistinta dal suo numero di studenti eccellenti; ma che riesce, per quanto è possibile, a far maturare chi è in difficoltà. Questo, però, implica una sorta di rivoluzione per ciò che riguarda la selezione e la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti: purtroppo, accanto a molti professori meritevoli ve ne sono altrettanti che dovrebbero cambiare mestiere. Purtroppo, l’egualitarismo degli ultimi trent’anni permette l’equiparazione di diverse competenze e capacità. Tutti gli alunni non sono uguali e, purtroppo a livello professionale, neanche i professori.
(Federica Ghizzardi)