Finita la scuola, è l’ora degli scrutini. Cioè è l’ora della valutazione finale per la maggior parte degli studenti. Per i ragazzi delle terze medie e delle classi quinte ci sono gli esami, con la valutazione finale solo posticipata, per questi studenti, di qualche settimana. Per tutti, comunque, è questo il tempo della valutazione, cioè della misurazione dei risultati di apprendimento, ma anche del servizio di qualità delle scuole.



Anche nella scuola, dunque, come nella vita, prima o poi contano i risultati, non le intenzioni. Ma, lo sappiamo bene, l’atto della verifica dei risultati coinvolge tutti. Non solo gli studenti, ma, anzitutto, i docenti, cioè i titolari della valutazione – l’unico atto davvero obbligatorio della scuola. Valutando, in poche parole, tutti si lasciano, volenti o no, valutare.



Sorprende pertanto, se solo diamo un’occhiata alla scuola reale, la recente iniziativa del ministro Profumo sul merito, per il solo fatto che non rispetta la realtà della vita della scuola. Condivido, a questo fine, le fini analisi proposte lo scorso 4 giugno da Gianni Mereghetti su queste pagine.

Premiare gli studenti che eccellono è sempre cosa buona (e molte scuole lo fanno già), ma questo non vuol dire introdurre il merito, il quale non va ridotto a qualche premio a chi già eccelle. In campo scolastico il merito non è un valore assoluto, ma relativo: pensiamo al percorso di apprendimento, dalla fase iniziale ai risultati finali. E qui le situazioni cambiano da ragazzo a ragazzo, da scuola a scuola. Chi sono coloro che dovrebbero garantire il “valore aggiunto” al percorso di apprendimento degli studenti se non i docenti? Non basta premiare i bravi, dunque.



Prima, dunque, di parlare di merito per gli studenti, è giusto ed equo parlare di merito per i docenti, per coloro che, per professione, sono chiamati a garantire il cammino conoscitivo a tutti gli studenti. E non a pochi. Il merito degli studenti dipende (non solo, ma in gran parte) dal merito dei docenti, dei presidi, di tutto il contesto di una scuola. Dipende, in poche parole, dalla assunzione di responsabilità di coloro che sono deputati a fare bene il loro lavoro.

Prima, dunque, di introdurre borse di studio o riconoscimenti agli studenti, va introdotto il merito tra i presidi, tra i docenti, tra il personale della scuola. Ad oggi un tabù. Un tabù confermato di recente anche dal ministro Patroni Griffi (più un sindacalista degli statali che un ministro della Repubblica), per il quale a scuola, come in tutta la pubblica amministrazione, non conta la responsabilità personale ma la responsabilità di “sistema”. Concetti per lo meno strani nella nostra società democratica.

Eppure, tutti a scuola sanno che un docente in gamba è un “valore aggiunto”, e non un robot che esegue meccanicamente dei compiti assegnati. E di docenti in gamba ce sono tanti, nelle scuole. Una vera risorsa non valorizzata e non riconosciuta, anche a livello stipendiale.

Si tratta, dunque, di cambiare registro. Non dobbiamo più, perciò, perdere anni in inutili discussioni intorno al “se” valutare i docenti e le scuole, ma confrontarci sul “come”, vagliando le situazioni degli altri Paesi, per prendere il meglio delle loro esperienze ed arrivare ad introdurre, finalmente, l’etica della responsabilità nella scuola come in tutta la pubblica amministrazione.

Con gli scrutini finali, dunque, i docenti valutano e nello stesso tempo si fanno valutare. È arrivato perciò il tempo di una svolta “qualitativa” anche nella scuola: come gli studenti vengono alla fine promossi o meno sulla base non delle intenzioni ma dei risultati raggiunti, anche i presidi, i docenti ed il personale tutto va valutato sulla base dei risultati del loro servizio. Anche la scuola, in sintesi, va considerata come tutti gli altri luoghi di lavoro. Una “operazione verità”, per riprendere le parole del primo Monti, dimenticata dal suo stesso governo nel corso di questi mesi carichi di complessità, ma carichi, prima ancora, di domande di verità.