In uno studio presentato nei giorni scorsi sulle pagine del Corriere della Sera torna alla ribalta uno dei mali delle nostre università, l’incapacità di posizionarsi a livello internazionale. Dati alla mano, lo studio dimostrava lo scarso numero di studenti stranieri che studiano nelle nostre università contro invece il discretamente numeroso manipolo di studenti italiani che vanno a fare i loro corsi all’estero. Stessa cosa per i docenti: gli insegnanti stranieri che vengono da noi a lavorare sono pochissimi, contro l’alto numero dei nostri docenti che vanno a lavorare all’estero. Come mai succede questo, in un’era in cui anche lo studio è diventato globalizzato? Nell’articolo del Corriere, a sottolineare questo squilibro, si citava il caso estremo delle informazioni presenti sui siti delle università italiane relativamente alle iscrizioni, tutte rigorosamente in italiano. Come potrà mai iscriversi uno studente inglese o cinese a una nostra università, si chiedeva l’articolo?



IlSussidiario.net ha girato queste domande al professor Marco Lanzetta, uno dei casi più illustri di mala università. Considerato infatti all’estero un luminare nel suo campo (chirurgia della mano) – specializzato in Australia e Canada, ha diretto la Microsearch Foundation di Sydney e ha partecipato a Lione al primo trapianto al mondo di una mano -, non è riuscito a ottenere un posto all’Università degli studi dell’Insubria di Como e Varese perché giudicato non idoneo. Per questo motivo Lanzetta è in causa da circa dieci anni con l’ateneo: “Siamo arrivati a sei giudizi di ogni livello e abbiamo vinto sempre, siamo sei a zero. Recentemente invece è arrivata una sentenza del Consiglio di Stato che invece dà ragione all’università” ci spiega. “Quindi siamo sei a uno, ma non ci fermiamo. E’ una battaglia che non faccio per me, nel modo più assoluto, ma non intendo rinunciare perché è fondamentale per il futuro dei nostri giovani. Perché è un meccanismo che deve incepparsi, è un gigante dai piedi di argilla che dovrà crollare, questo sistema universitario. I giovani hanno bisogno di una sentenza come questa per far valere i loro diritti”.



Professore, com’è la situazione delle università italiane: gli studenti e i professori stranieri ci sono o non ci sono?

Guardi, quando si parla di questi argomenti mi sale la pressione. Io sono uno che viaggia, vedo colleghi, studenti, mi piace molto capire cosa c’è di bello negli altri Paesi, cosa si può cambiare nel nostro. L’argomento qui è essenzialmente uno solo: il futuro dei nostri figli. E questo futuro si costruisce in una sola maniera.

Quale? 

Imparando le cose le migliori, altrimenti non si va da nessuna parte. La competizione è tale ed è talmente globalizzata che non puoi far finta di sapere una cosa se non la sai.



E’ sempre stato così in Italia secondo lei?

Fino agli anni 50, 60 e 70 eravamo un mercato protetto, dove poi c’era tanto fumo e poca consistenza. Tanto la competizione è poca, si diceva: anche se non sono un fenomeno, me la cavo, tanto non sono sulla piazza.

E oggi?

Oggi i nostri figli imparano sulla loro pelle che come metti il naso fuori, trovi gente che è pronta a farti le scarpe in ogni momento.

Cerchiamo di capire cosa c’è dietro a questa situazione.

E’ semplice: mi capita di andare nei Paesi scandinavi o in Danimarca e vedo che tutti parlano l’inglese come fosse la loro prima lingua. Vado nell’est europeo e anche lì si parla in inglese e così via in quasi tutti i Paesi. Alcuni hanno proprio adottato l’inglese come lingua accademica ufficiale tanto, che guardano anche la televisione in inglese. Allora mi chiedo: perché noi no?

Già: perché noi no?

Perché siamo attaccati alla nostra lingua in maniera insensata: fosse il cinese, che è parlato da un miliardo di persone, potrei dire: in qualche modo mi capiranno. L’italiano non lo parla nessuno e noi ci vantiamo ancora di parlare solo quello, con il professore che insegna solo in italiano e i libri di testo scritti in italiano. Le pare logico che uno studente di medicina studi in italiano?

 

Credo di no. Ma è una questione di mentalità, di logiche politiche, di che altro?

 

Il dato fondamentale è che i professori stessi non sanno le lingue. Ricordo un caso di cui non farò nomi, ma ero presente, ero in una riunione di professori dove alla domanda: dobbiamo fare questo corso di inglese agli studenti di medicina, chi è che vuole insegnare inglese? Rimasi stupito, non capivo neanche il motivo della domanda. Nessuno si offriva, dovetti dire: va bene, visto che non si offre nessuno lo faccio io. Se questa è l’importanza che viene data alla lingua straniera, come potrà un medico moderno essere competitivo, andare a un congresso e capire cosa dicono gli altri, scrivere un articolo scientifico o fare una presentazione senza che la gente gli rida in faccia?

 

Però, mi permetta: ci sono molti nostri docenti che vengono chiamati all’estero a insegnare, questo vorrà dire che abbiamo capacità non da poco. 

 

Assolutamente. Gli italiani sono un popolo grandioso, noi arriviamo ai vertici in qualunque Paese in cui andiamo, gli altri no. Ho fatto una indagine in Australia quando lavoravo per il ministero degli Esteri e abbiamo visto che gli italiani, non quelli di seconda generazione ma quelli nati in Italia e poi emigrati, in migliaia erano ai vertici di strutture di medicina e scienze, ma anche in altri settori. L’italiano ha qualcosa che gli altri ci devono riconoscere anche oggi: la genialità, il talento e la capacità di imprenditorialità. Proprio per questo fa ancora più male vedere in che stato è la nostra università. Non solo abbiamo teste che arrivano ai vertici, ma le mandiamo via. E’ un autogol clamoroso per il sistema Italia.

 

Ritiene che l’attuale governo tecnico stia facendo qualcosa per migliorare la situazione? 

 

Zero: c’è da essere pessimisti su tutta la linea, siamo indietro. Quale professore straniero viene a insegnare da noi? Nessuno. Abbiamo un ranking mondiale dove la prima università italiana è quella di Bologna e si trova più in basso della duecentesima posizione. Nei primi dieci e venti posti si scannano per salire nel ranking. Oxford e Cambridge hanno una rivalità così forte che farebbero qualunque cosa per essere davanti. Sa cosa fa un imprenditore americano o inglese normalmente?

 

No, cosa fa?

 

La prima cosa che fa quando gli arriva un curriculum è guardare dove si è laureato il candidato e vedere il ranking dell’università. Le sembra che possa assumere un italiano?


(Paolo Vites)