“Questo esame s’ha da fare”: così recita la scritta che campeggia sull’ultimissimo tratto del percorso scolastico di ciascuno studente delle superiori. Inutile imposizione, obsoleto retaggio del passato o manzoniano “capriccio del potente”: comunque lo si consideri, sta di fatto che è dall’esame di Stato che occorre passare per poter considerare “legalmente” conclusi gli studi superiori. Potrebbe allora essere interessante provare a trasformare l’inevitabilità in una opportunità, la passività perdente in un protagonismo vivace e vincente.



Prendiamo la cosiddetta “tesina”, cioè quell’oggetto che, nel linguaggio burocratico-ministeriale, viene definito “esperienza di ricerca e di progetto, anche in forma multimediale, scelta dal candidato”, e col quale è previsto abbia inizio il colloquio.

E’ purtroppo prassi piuttosto diffusa che tale lavoro venga scaricato da internet anche non troppi giorni prima dell’inizio dell’esame, imparato in qualche modo e, più o meno brillantemente o stancamente, ripetuto ad una commissione di docenti (i quali, per il solo fatto di essere lì, meriterebbe di poter ascoltare qualcosa di meglio).



Credo sia senz’altro più divertente e gratificante costruire da sé questo percorso di ricerca, a partire da un argomento, un fatto, un elemento che ci interessa: una tra le tesine più belle che ho ascoltato – e tra le poche che ancora ricordo – è stata quella sul colore, nata dal fascino che il fenomeno cromatico da sempre esercitava sulla studentessa autrice della ricerca. 

Insomma, la tesina è bella per chi la redige e per chi la deve ascoltare o leggere, se essa risponde ad una qualche domanda dello studente, e quindi se ha un percorso e un obiettivo chiari. E non è affatto necessario che tale percorso arrivi a toccare – a volte con voli iperbolici, quando non ridicoli – tutte le materie oggetto del colloquio. Può anche essere specificamente attinente una sola materia, l’importante è che abbia una solida struttura, logica ed evidente. Per ottenere ciò, occorre che la ragione per cui si è scelto quell’argomento, il taglio che si è stabilito di dare al lavoro e l’obiettivo al quale si vuole arrivare, vengano esplicitati in maniera molto chiara all’inizio del lavoro stesso, a mo’ di premessa. Questo consente di non perdere il filo, sia in fase di redazione che di esposizione, ma soprattutto trasmette a chi ascolta (i prof. chiamati a valutare) la chiara percezione che dietro e dentro ciò che il candidato viene dicendo c’è una struttura logica, e che non si tratta dell’assemblaggio più o meno casuale di elementi concernenti, magari anche piuttosto vagamente, un medesimo argomento.



Se si imposta in questo modo la tesina, risulta anche più appassionante e facile la preparazione dell’intero esame orale, perché si tratterà di capire quali agganci, “link”, può avere la nostra ricerca con i programmi svolti nelle varie materie, quali collegamenti – per affinità o per contrasto – possono suscitare le nostre parole nella mente dei commissari. E qui gli esempi potrebbero sprecarsi: l’autore della tesina sulla guerra di trincea nella prima guerra mondiale (argomento troppo vasto, però!) non può non essere preparato, in italiano, su Ungaretti, anche se non ne parla nel suo lavoro (anzi, può essere consigliabile non parlarne, in modo da suscitare la domanda!); l’amica della tesina sul colore fece bene ad essere prontissima su quegli autori che hanno cercato di usare le parole come i pittori usano il colore (Rimbaud in primis, ma anche Pascoli). Cerchiamo cioè di usare la tesina come il filo di Arianna delle priorità che ci guida nel ripasso (e ci auguriamo che di solo ripasso si tratti…) dei programmi delle varie materie.

E come Arianna riuscì a salvare Teseo grazie al suo filo, allo stesso modo ci auguriamo che il lavoro della tesina sia strumento e viatico per la preparazione di un buon orale, dando così il piacere del lavoro e del risultato raggiunto, con il conforto auspicato di un bel voto.