L’attacco di Montale è retoricamente ben costruito: temporeggia, fa aspettare il lettore, lo tiene ancorato alla pagina e sospeso fino alla decima riga; solo lì l’autore introduce l’argomento del suo articolo: il “problema più grave del nostro tempo”.

Tramite un elenco di argomenti posti in litote, Montale giustappone ciò che si vede denunciato “nelle prime pagine dei giornali”: non il “futuro status di Berlino” né il rischio di una guerra atomica e nemmeno “l’uccisione su larga scala di uomini e di cose”. Il più “preoccupante” dei problemi è “ammazzare il tempo”. Non si tratta delle ore tolte alle braccia dell’uomo dall’automazione, benché la diretta causa della sostituzione delle macchine potrebbe essere letale per l’uomo che si troverebbe faccia a faccia con lo “spettro del tempo”.



Il lavoro, per ogni persona, può diventare complice della fuga dal vero problema: “accrescendo i bisogni inutili, si tiene ogni uomo occupato anche quando egli suppone di essere libero”. Echeggia il Dickens di Hard Times: “Now, what I want is, Facts”. L’uomo ha bisogno di fare, di occupare quel “pericoloso mostro” che è il tempo, e sono pochi gli uomini “capaci di guardare con fermo ciglio in quel vuoto”.



Qui si colloca il grande dramma di ogni giorno: “Ecco la necessità sociale di fare qualcosa, anche se questo qualcosa serve appena ad anestetizzare” quella voragine che puntualmente torna. Questo è il problema che Montale considera più grave perché non è come quelli di ordine storico i quali, prima o poi, giungono ad una soluzione; alcuni di questi sono elencati nelle prime righe del brano e sono legati alla contingenza, tanto che i giornali ne sono intrisi. Dopo cinquant’anni dall’articolo montaliano, infatti, vediamo la risoluzione di alcuni di essi, come lo status di Berlino, mentre l’“ammazzare il tempo” rimane “il problema sempre più preoccupante che si presenta all’uomo d’oggi e di domani”.



Il poeta mette sul tavolo tutte le più grandi preoccupazioni del mondo, il cui epilogo è quella semplice ma potentissima coordinata avversativa all’inizio della nona frase, che sottolinea quanto la più grave uccisione consumata ogni giorno dall’uomo sia quella del tempo. Prima c’è la risposta più scontata, quella della mentalità comune; poi, con il “ma”, il poeta smentisce e allarga quella prospettiva.

Cosa significa “ammazzare il tempo”? Montale lo ripete due volte nel brano e non lo spiega mai in modo affermativo: lo fa intuire proprio smascherando quelli che erano ritenuti i veri problemi del mondo. È negare quel momento in cui l’uomo è messo dinanzi al tempo, a se stesso in questo tempo, perché non ha niente di concreto da fare che lo distragga dalla presa di coscienza di sé, del proprio destino e del proprio vuoto interiore. L’uomo fatica a stare di fronte alla propria natura e vuole “ridurre al minimo le ore in cui è più facile che si presenti a noi questo odiato fantasma del tempo”. In quest’ottica si inserisce l’invenzione di “nuovi tipi di lavoro” e l’accrescimento dei “bisogni inutili”, con cui l’uomo “si tiene occupato anche quando suppone di essere libero”. E proprio la libertà è la cifra del problema “più grave del mondo”, perché non dipende dal susseguirsi degli eventi storici, ma da ogni persona, in ogni momento. Istante dopo istante, l’uomo decide se “ammazzare il tempo” o viverlo.

Lo sguardo di Montale sulla condizione dell’uomo e sulle scelte da lui prese è profondamente ironico, anzi umoristico in senso pirandelliano; la già citata espressione “Perché si lavora? […] per accrescere i bisogni dell’uomo”, infatti, induce il lettore a un “riso amaro” (L’umorismo) perché designa l’uomo come un essere incapace di far fronte ai problemi cui già si trova innanzi e quindi costretto, per la sua inettitudine, a crearsi da solo nuovi ostacoli. Il calcio, il lavoro o altro diventano dunque “uno svago”, quasi “la necessità sociale di fare qualcosa”.

La stessa espressione “ammazzare il tempo” denota una certa ironia: come si può uccidere un concetto? Forse per il poeta il tempo non è poi tanto astratto: è la dimensione concreta in cui l’uomo si trova di fronte a sé e agli interrogativi ultimi; anche in Sartre e negli esistenzialisti la noia ha questa funzione epifanica (e, proprio per questo, spesso temuta).

La visione dell’uomo di Montale in questo brano, quindi, è negativa. L’ammazzare il tempo ha la meglio sull’approfondimento di un’assenza. L’unica speranza, forse, è che almeno qualcuno è riuscito a “guardare con fermo ciglio in quel vuoto”.

È una visione molto attuale quella proposta dal poeta in questo brano. Anche oggi, infatti, vi sono numerose preoccupazioni come la crisi economica, il pericolo del terremoto, l’Unione europea, l’Egitto… che riempiono intere pagine di giornali. In tutta questa confusione il rischio è di essere superficiali sia in ciò che accade sia nel personale rapporto col tempo. L’alternativa più facile rimane sempre quella di non guardare al fondo della propria tristezza. Quante volte si scappa dalle proprie difficoltà per rifugiarsi in quello che uno ha da fare! Si fugge da ciò che non è come si vuole e si va alla ricerca di un rifugio: l’ufficio, lo studio, lo sport… Tuttavia, come ha mostrato bene Montale, questo scappare è vano perché anestetizza solo per qualche tempo “quel vuoto” che si ripresenta sempre.

In Prima del viaggio un tempo preordinato e ben confezionato sembra una boccata d’aria per il poeta: la partenza si avvicina, e tutto è preparato nei dettagli. Ma Montale si accorge che non tutto quadra: “Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo”. L’uomo, insomma, rischia l’alienazione e la perdita di riferimenti. Una speranza, però, c’è: riscoprire quanto sia interessante un uso intelligente e appagante del tempo nel lavoro e nel proprio quotidiano, cioè iniziare a conoscere sempre di più quel “pericoloso mostro”.

(Davide Ori)