Argomento della traccia di ambito storico-politico: “Bene individuale e bene comune”. Per affrontarlo, agli studenti sono stati suggeriti testi di S. TOMMASO D’AQUINO (1225-1274), La somma teologica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996, Jean-Jacques ROUSSEAU, Del contratto sociale o principi del diritto politico, 1762, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, Luigi EINAUDI, Lezioni di politica sociale, Einaudi, Torino 1949, e Giuseppe DE RITA, Presentazione di Le undici regole del Bene Comune, Marketing Sociale, 2010. Per IlSussidiario.net ha svolto il tema l’onorevole Renato Farina.



Che fare in tempi di crisi? Quando la bufera infuria e lo tsunami del fallimento finanziario sembra togliere speranza? Salvarsi da soli o cercare di salvarsi insieme? In “Napoli milionaria” di Eduardo De Filippo, questa lotta tra bene individuale e bene comune si palesa dentro la vita di una famiglia. C’è la guerra, tutti cercano di cavarsela, la paura di perdere tutto è la stessa che attraversa l’Italia in questo 2012. Gennaro Iovine – il padre che ruba di notte i maccheroni al figlio Amedeo, il quale a sua volta si mantiene rubando i pneumatici delle auto – si giustifica così: “Tu magne buono e te ngrasse e io me moro ‘e famma? Arruobbe tu? Arrobbo pur’io! Si salvi chi può!”. Questa è la morale dell’”homo homini lupus”. In questa visione l’uomo naturalmente afferma il suo istinto alla sopravvivenza. La morale è vivere, anzi sopravvivere, individualmente. L’unico valore oggettivo è la legge della giungla, il bene è la forza. Dinanzi a questa contesa tra singoli feroci solo uno Stato onnipotente, il Leviatano, può costringere l’uomo ad accettare l’ordine, identificato con il bene comune di Tommaso d’Aquino, tradotto in quella che Rousseau chiamerà “volontà generale”. 
Non è un po’ quello che sta accadendo in Europa, con quella sorta di commissariamento finanziario alle Nazioni imposto dagli organismi internazionali, veri e propri Leviatani che nessuno ha eletto o scelto? La domanda è aperta. Ma prima ancora di questa bisogna porne un’altra, agli uomini del nostro tempo. Ed è ancor più dirimente. Esiste un bene certo, oggettivo, riconoscibile, ancorato all’essenza della realtà e della storia, che poi si squaderna in bene individuale e bene collettivo? O esiste solo un’opinione su ciò che è bene o male? Insomma: è attingibile la verità? Gli uomini possono cercarla insieme, così da avvicinarsi ad essa? Oppure tutto è solo soggettività? 
La tradizione cristiana, ma anche quella umanistica che fa riferimento ad Aristotele, ritiene che l’uomo sia “capax Dei”. Cioè possa conoscere la struttura dell’Essere, le verità morali, almeno in barlume, a tentoni. Non che le trovi, ma ha però gli strumenti per cercarle, e poi dire di sì o di no. 
Nel tempo post moderno, la verità si è fatta liquida, inafferrabile. Non esiste bene comune, ma solo “volontà generale”. Attenzione. Questa idea, storicamente, è stata foriera di totalitarismi. Rousseau, che è padre di questa idea, ritiene che l’uomo, bene informato, alla fine opterà per questa volontà generale, e perciò buona, riconosciuta con semplice “buon senso”. Non c’è bisogno per lui di forzature totalitarie. L’uomo, gettata via l’appartenenza ad un corpo sociale (che egli chiama “associazioni” o “fazioni”), ridotto alla sua essenza puramente individuale, perseguirà quello che farà star bene singoli e collettivo. Visione utopistica che troverà alla fine nel marx-leninismo il suo fallimento. Alla fine prima l’avanguardia del Partito, poi lo Stato si pretendono interpreti in esclusiva della volontà generale. Analogo totalitarismo si verifica nel nazionalsocialismo, dove la volontà generale “buona” è quella della razza. L’evanescenza della verità, la sua riduzione a chimera, com’è nel nostro tempo, porta con sé rischi di un diverso ma non meno pericoloso totalitarismo, che qualcuno ha chiamato “nichilista”. Come non infilarsi in questo vicolo cieco?



Luigi Einaudi, economista liberale che risente potentemente della tradizione cristiana, scorge la presenza di un duplice istinto, nella natura umana. Quello di “godimento individuale” contrapposto a quello di “costruzione”. In quest’ultimo caso “un demone urge (l’uomo) a gettare le fondamenta di qualcosa”. Uno sceglie liberamente a quale dei due istinti obbedire, sapendo bene che la purezza non esiste, e sempre ci sono mescolanze di egoismo e di gratuità. La positività del bene! Questo propone Einaudi. Ma come rendere persuasiva questa opzione, oggi? La strada è solo quella di testimoni, credibili, i quali siano lucenti di felicità proprio mentre scelgono invece del godimento individuale qualcosa di più grande del possesso dei beni e della fama, del denaro e del potere. Sono i testimoni, non i ragionamenti, a mostrare che bene individuale e bene comune non sono nemici, ma alleati. E mostrano con la loro vita che il sacrificio del proprio particolare alla fine non annulla la persona, non toglie l’essenziale, ma arricchisce, rende l’uomo più uomo, la donna più donna. La società più società. 

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