Argomento della traccia di ambito tecnico e scientifico è “Le responsabilità della scienza e della tecnologia”: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra” (da un testo di Hans Jonas, Il principio responsabilità). I documenti aggiuntivi che sono stati selezionati per questa prova sono: “Primo LEVI, Covare il cobra, 11 settembre 1986, in Opere II, Einaudi, Torino 1997”, “Leonardo SCIASCIA, La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino 1975”, “Pietro GRECO, Sua maestà la tecnologia. Chi ha paura della scienza?, “l’Unità”, 7 luglio 2001”, “Margherita HACK intervistata da Alessandra Carletti, Roma Tre News, n. 3/2007”. IlSussidiario.net ha affidato lo svolgimento della traccia a Mario Gargantini.



L’aspirazione a conoscere la realtà e a utilizzare tale conoscenza per “costruire un futuro desiderabile” è insito in ogni uomo. È in quel desiderio che affondano le radici la scienza e la tecnologia: da sempre l’uomo ha cercato di comprendere i fenomeni naturali e di ingegnarsi per realizzare manufatti in grado di soddisfare varie necessità, da quelle più essenziali, legate alla sopravvivenza, a quelle più effimere. L’albero cresciuto su quelle radici ha avuto dapprima una crescita lenta poi, circa quattro secoli fa, ha iniziato a irrobustirsi, ha formato un tronco solido e resistente e si è sviluppato secondo molti rami producendo frutti sempre più copiosi. Frutti che si sono rivelati, parafrasando Primo Levi, “utili per il genere umano, o neutri, o nocivi”. L’analogia dell’albero andrebbe però precisata meglio. Anzitutto, parliamo di un albero o di due? Un conto è la scienza, altro sono le sue applicazioni. È difficile sostenere che la scoperta di una legge di natura rappresenti qualcosa di intrinsecamente negativo; mentre è ampiamente condivisibile l’affermazione che non tutte le applicazioni portano un bene all’umanità.
Il fatto è che oggi la distinzione tra i due alberi non è così facile. Ci sono ambiti dove è dominante la pura sete di conoscenza. Nello studio del macrocosmo, alla ricerca delle profondità del tempo e dello spazio, tutte le energie dell’intelligenza sono indirizzate a tentare di capire come si è formato e come si è evoluto l’universo che oggi osserviamo grazie ai giganteschi telescopi terrestri o con i telescopi spaziali. È un’indagine che si interseca con quella dell’evoluzione della vita sulla Terra e più ancora con quella del microcosmo, dove si individuano i costituenti elementari della materia e si descrivono le forze fondamentali che governano le interazioni tra le particelle. 
In altri ambiti però la distinzione tra scienza e tecnologia è meno netta e si parla sempre più di tecnoscienza: nelle biotecnologie, nelle nanotecnologie, nella robotica e in altri settori “avanzati” tracciare una linea di confine tra conoscenza e applicazione è impresa ardua.  Qui il tema della responsabilità assume uno spessore maggiore e un’urgenza ancor più spinta; anche se i criteri di valutazione e molte considerazioni che si possono fare in proposito hanno una valenza per tutte le applicazioni della scienza. Una prima riflessione è in realtà un invito a considerare la situazione per come si presenta effettivamente oggi. Non si può non tener conto delle caratteristiche specifiche e in buona parte nuove della tecnologia attuale, che la differenziamo moltissimo da quella delle fasi precedenti.
Due sono i principali elementi di discontinuità. Il primo è la complessità elevata dei prodotti, tanto che non si parla più semplicemente di “macchine” ma sempre di “sistemi”. Il secondo è il ruolo determinante (e invadente) dell’informazione: non c’è prodotto tecnologico che non abbia un cuore informatico e che non abbia nello scambio e nella elaborazione dei dati il segreto del suo funzionamento e della sua efficacia. Si parla addirittura di “internet degli oggetti”, dove gli stessi apparati della vita quotidiana, dal frigorifero alla suola delle scarpe, contengono microchip e sono connessi in rete da dove si scambiano messaggi tra loro e con gli “umani”. 
In questo scenario, come leggere l’invito di Hans Jonas alla responsabilità?
Questo termine, quando è applicata allo sviluppo tecno scientifico, spesso tende ad assumere una accezione puramente negativa e limitativa: si pone tutta l’attenzione su degli elenchi di cose che “non si devono fare”, ci si concentra sulle norme e sulle regolamentazioni, che costringano l’azione entro binari “corretti”, che spesso si traducono in un freno alla creatività e all’impulso costruttivo. Lo stesso clima negativo tende poi a riflettersi anche sulla scienza intesa come conoscenza, della quale diventa sempre più difficile riconoscere quel valore invocato da Pietro Greco e da Margherita Hack. 
Il problema allora è in primo luogo di riconoscere i limiti umani, di non sottovalutare la complessità della natura e i suoi delicati equilibri; e insieme di riflettere sul fatto che i sistemi costruiti dall’uomo – siano essi una centrale per la produzione di energia, una rete informatica o una protesi robotizzata – interagiscono comunque con i fenomeni naturali e in tale interazione si inseriscono inevitabilmente fattori sottili e imponderabili, la cui previsione al cento per cento è praticamente impossibile. Si tratta di essere consapevoli che ogni intervento umano nella realtà ha una percentuale di rischio, che non va nascosto né sottovalutato bensì affrontato con un impegno comune, nel dialogo e nella condivisione tra tutti i soggetti coinvolti. 



Qui tocchiamo il punto nodale della questione, che ha a che fare con l’idea di uomo. Nella citazione di Jonas ci sembra che l’accento debba cadere sull’aggettivo “autentica”. Tutti oggi parlano di tecnologia a servizio dell’uomo, di benessere, di sviluppo sostenibile; proprio in questi giorni si sta svolgendo a Rio del Janeiro il vertice dell’Onu sul futuro sostenibile e probabilmente si farà un gran ricorso, almeno verbalmente, al concetto di responsabilità.
A Rio, così come in tanti studi, programmi, dibattiti sulla tecnica è sottesa una domanda cruciale che difficilmente viene portata a galla; è quella implicita nella frase di Jonas: chi è l’uomo? Come si possono decifrare i suoi reali bisogni? Come si valuta l’autenticità di un’esistenza umana? 
Quelli che sembravano interrogativi sulla tecnoscienza in effetti non fanno che rilanciare le domande fondamentali sull’uomo. Solo se si intravede e si sperimenta un inizio di risposta a questi interrogativi si potrà pensare di orientare le soluzioni che (anche) la tecnologia può dare ai bisogni di tutti e di ciascuno di noi.

Leggi anche

MATURITÀ 2024/ Prima prova, quando le tracce fanno pensare (alla vita) l'esame cambia volto