Premessa: le tracce dei temi di maturità di quest’anno sono a un primo sguardo buone tracce. Colgono temi importanti, si affidano a massime o a riflessioni di personaggi dall’autorità indiscutibile. Sono anche ben assortiti, perché poteva trovare sfogo chi è più vocato a ragionamenti sofisticati (le tracce sul labirinto o quella montaliana sul tempo) e chi invece fosse più orientato ad un approccio d’attualità o sociale (la crisi e i giovani, addirittura il bene comune!). 
Detto questo provo a esternare alcune personali perplessità. Prendiamo la traccia montaliana: il ragionamento non fa una grinza e per quanto il grande poeta lo abbia scritto nel 1966, sembra applicarsi senza forzature al tempo di oggi. È uno di quei ragionamenti così ovvi e così condivisibili in superficie che sembra davvero complicato mettersi di traverso (anche perché comunque si ha a che fare con un Nobel…). Eppure sull’idea che il tempo sia “un vuoto da riempire” per evitare derive sociali, avrei qualcosa da discutere. Montale ha una visione che divide l’umanità in esseri superiori da una parte e parco buoi dall’altra (perdonate la terminologia, ma è per rendere meglio l’idea). «Pochi sono gli uomini capaci di guardare con fermo ciglio in quel vuoto», dice in questo brano preso da un articolo scritto per il Corriere della Sera. Per tutti gli altri occorrono strumenti che aiutino ad anestizzare il vuoto, ad evitare che si affacci sulla vita delle persone. 
Mi sembra una visione rovesciata del mondo: se il mondo va avanti è perché c’è una grande maggioranza di persone che vive con pienezza e con gusto la dimensione del tempo. Che semmai chiede più tempo, per vivere, per fare, per amare. Non fosse così, la storia dell’uomo si sarebbe infranta da chissà quanto contro il muro del non senso. Ma come può un ragazzo già in ansia per l’esito della maturità, pensare di mettere in discussione l’autorità di un Nobel? Montale è stato un grande poeta, ma non esente da piccoli pensieri.
Un’altra traccia che mi ha lasciato perplesso è quella sul labirinto. Un tema intellettualmente affascinante, anche se ha il difetto di esser un po’ troppo di moda. Al punto che chi lo ha pensato ha arruolato alla “setta” anche due autori che proprio non hanno nulla a che fare. Che Picasso sia un artista labirintico mi giunge assolutamente nuovo: è un artista che semmai aveva sin troppa chiarezza sulla strada da percorrere. Se c’è un grande del 900 che macinava certezze, al punto da parere supponente, era proprio lui. Il labirinto di Picasso è al massimo un ottovolante dove si provano brivi ma poi si torna sicuri al punto di partenza. E ho qualche dubbo anche sul fatto che il “dripping” di Pollock (la pittura sgocciolante) abbia a che vedere con una visione labiritnica del mondo. Mi sembra che invece in Pollock persino la casualità del gesto finisca nel ricondursi in ordine, come dimostra l’equilibrio così lirico della sue grandi tele astratte.



Infine un auspicio: spero che chi ha scelto la bella traccia sul bene comune, abbia colto quanto di orribile ci sia nella formulazione che ne aveva data Jean Jacques Rousseau. Siamo di fronte a un vero totalitarismo non dichiarato; l’associarsi degli uomini viene visto come una minaccia. L’articolazione sociale viene vista come un pericolo. Così pure la cura della famiglia viene vista come nutrimento del peggior particolarismo. La “volontà generale” diventa un totem che schiaccia l’iniziativa degli uomini. Tra tutte le tracce è quella di cui mi piacerebbe di più leggere gli svolgimenti. Sarebbe stata una buona spia di maturità acquisita…

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