Le tracce per la prova di Italiano alla Maturità ventidodici si sono già portate dietro il consueto strascico di consensi e dissensi, di aspre critiche così come di plausi. D’altro canto i commenti ogni anno si fanno più istantanei, bastano pochi minuti dalla disseminazione on line delle tracce che subito si scatenano le opinioni, i paragoni con le prove precedenti e la caccia all’esperto dell’argomento, possibilmente cattedratico, che dica in fretta la sua illuminando tutti.
Una questione che però raramente emerge – e che invece riveste grande interesse – riguarda la rilevanza e la pertinenza dei temi offerti alla trattazione dei ragazzi. In altre parole: le questioni che sono state poste dalle tracce di quest’anno sono in grado di risuonare nei ragazzi, di vibrare, di far venir voglia di dire la propria, di cimentarsi in un giudizio personale magari rischiando di scontrarsi col parere dei commissari?
Personalmente ritengo che i temi di questa Maturità, e ribadisco i temi, siano non solo di grande attualità, ma di grande presa e persino fascino per i giovani adulti che in una afosissima giornata di giugno hanno mordicchiato le penne per ore scambiandosi di tanto in tanto occhiate di complicità e consolazione.
Partiamo da Montale, tardivo e aspro, che pone il tema dell’“ammazzare il tempo”. L’esperienza della noia, della mancanza di senso, della costante necessità di “fare” qualcosa non può lasciare indifferenti i più giovani. Loro, che da poco si stanno affacciando allo stesso horror vacui che costringe noi adulti a riempirci le agende per non lasciare nemmeno un pezzettino di tempo vuoto, sanno esattamente di cosa Montale sta parlando, pur avendolo lui fatto cinquant’anni fa.
Vediamo poi il tema del labirinto: in fin dei conti si tratta di una metafora importante. Il labirinto è proposto come simbolo dell’inutile muoversi nella realtà, di un uomo che si sposta senza afferrare ciò che gli interessa, senza un senso. Per Ariosto una meta illusoria (correre invan), per Calvino un cumulo di indicazioni contradditorie e non univoche per la meta, per Borges pura apparenza, in cui ciò che appare non è ciò che è (ciò che graficamente è stato proposto con Escher), e infine per Eco solo disordine e confusione, nonostante le apparenze.
Arriva poi il tema crisi e giovani che pone con la cruda drammaticità dei numeri lo spettro della disoccupazione giovanile.
Segue il bene individuale e il bene comune, la responsabilità della scienza e della tecnologia, la piccineria di un individuo come Eichmann ben descritta dalla Arendt e da ultimo il tema generale sull’avere vent’anni, che non è detto sia l’età più bella della vita.
Passati così in rassegna i temi, risulta abbastanza evidente come possano avere presa sugli animi più giovani. In fin dei conti, il senso del tempo, la direzione del moto individuale, il futuro del proprio lavoro, la politica come ideale per il bene comune e singolare, i limiti da imporre a una scienza che pare incontrollabile e il giudizio sulla propria età e relativa esperienza di felicità non possono lasciare indifferenti.
Ciò che non convince sono invece le scelte fatte per porre tali questioni. Diciamo che i piatti cucinati erano anche buoni, ma che la tavola è stata apparecchiata maluccio, tanto che alla fine il pasto non è stata quell’occasione che si desiderava e forse anche l’appetito è mancato.
La prendibilità dei concetti, loro sì rilevanti, è stata essenzialmente minata da due fattori generali.
Innanzitutto la maggior parte degli aspetti, e quelli più rilevanti, sono stati proposti nella loro crisi: la vita è vuota e per questo la riempiamo, il moto non ha senso ossia direzione e per questo ci affanniamo, il lavoro non c’è, vent’anni non sono l’età più bella. Tempo, spazio, lavoro, giovinezza sono stati collocati in una luce sinistra, rispetto alla quale i più volenterosi potevano solo provare a difendersi. La proposta stessa dei brani suggeriva una posizione umana in difficoltà, un po’ come nei vecchi film di Perry Mason in bianco e nero si sentiva dire che la domanda influenzava il teste.
È vero che abbiamo l’horror vacui e vogliamo ammazzare i tempo, ma non è un fatto inesorabile, si tratta di un errore. E per di più correggibile. Il tempo semmai è libero, non vuoto. Lo stesso vale per il moto: se ci perdiamo dentro un labirinto è perché nel labirinto ci stiamo, possiamo anche correre nelle piazze e nelle vie per andare dove stiamo bene, anche solo per tornare a casa.
Come secondo aspetto, inoltre, la scelta delle tracce spesso è stata tale da criptare le questioni, così rilevanti, da nasconderle sotto un eccesso di parole e allusioni che alla fine hanno reso meno prendibili le questioni stesse. Chissà, forse lo stesso horror vacui che sottolineava Montale deve aver preso i compilatori delle tracce, così preoccupati di riempire i fogli di citazioni e parole da non preoccuparsi della riconoscibilità finale di ciò che volevano proporre.
Eppure di una cosa sono certo: la maggior parte dei ragazzi non si è lasciata sfuggire questa occasione ed è stata generosa. Allora, cari commissari, accostatevi con rispetto, e un pochino di venerazione, verso i testi che gli studenti hanno preparato per voi. Lì dentro troverete la vita vera, le questioni urgenti e i desideri che premono. Li dentro troverete, forse, quelle soluzioni che ai grandi autori delle tracce sono mancate. Cercate bene, adesso tocca a voi non perdere l’occasione. Non deludete chi, in fondo, per sei ore ha scritto anche per voi dentro un’aula piena di afa e di attesa.