Gli studenti del liceo classico si sono misurati con un brano di Aristotele dal “De partibus animalium” proposto con il titolo “Non il caso ma la finalità regna nelle opere della natura”. L’autore non usciva all’esame di Stato da ben 34 anni. Proponiamo il brano nella traduzione e nel commento di Veronica Tirincanti, docente di greco e latino nel Liceo classico “D. Alighieri” di Rimini.
TRADUZIONE – Non bisogna rigettare scioccamente lo studio delle creature più umili; infatti in tutto ciò che è naturale c’è qualcosa di meraviglioso. E come si racconta che Eraclito disse agli stranieri che volevano incontrarlo, i quali, quando videro, nell’entrare in casa sua, che lui si scaldava presso il camino, rimasero pietrificati (li invitava ad entrare senza timore; “anche qui”, diceva, “ci sono gli dèi”), così, anche riguardo l’indagine su ciascuno degli esseri viventi, bisogna accostarsi senza vergogna, poiché in tutti c’è qualcosa di naturale e di bello. Infatti non la casualità, ma l’essere per un fine è insito nelle opere della natura e in grandissima misura; e il fine per cui sono costituite ed esistono occupa la regione del bello. Se poi uno ritiene che lo studio degli altri esseri viventi sia una cosa disonorevole, bisogna che pensi nello stesso modo anche riguardo a sé. Non è possibile guardare senza grande fastidio le cose di cui è costituito il genere umano, come il sangue, le carni, le ossa, le vene e parti simili. Ugualmente bisogna ritenere che colui che discute riguardo una qualsiasi parte, o riguardo ad un oggetto, non faccia menzione della materia, né discuta per questa, ma dell’intera forma, come si discute di una casa, ma non dei mattoni, del fango e del legno; e bisogna ritenere che chi ragiona sulla natura parli dell’insieme e dell’essenza intera, ma non delle parti che non esistono mai separate dalla loro essenza. (Aristotele)
COMMENTO – Assente in sede di maturità liceale dal 1978, gli studenti hanno affrontato una versione di Aristotele, autore poco frequentato durante l’anno scolastico come fonte di verifica linguistica, e che richiedeva una particolare conoscenza dei nessi filosofici da parte del candidato. In effetti il brano non è fra quelli che solitamente vengono tradotti dagli insegnanti in classe (diversamente, nel 2010, è stato scelto un brano dall’Apologia di Socrate, testo molto più frequentato dagli alunni, certamente più noto, e spesso oggetto di lettura integrale, almeno in italiano): difficilmente un professore di greco chiederebbe ai propri studenti di leggere il De partibus animalium di Aristotele, trattato in quattro libri, un’opera di fisica (intesa coma dottrina della natura e dei suoi fenomeni). Difficile comprendere le ragioni di questa scelta: forse il Ministero vuole dissuadere i ragazzi dalla frequentazione di un Liceo Classico, oppure si è desiderato evitare un facile reperimento del testo sul web (ma a onor del vero, mezz’ora dopo la divulgazione on-line della traccia i siti internet brulicavano di traduzioni…).
La nuda lettera del testo, nella prima parte, offre spunti di vivo interesse: Aristotele stimola a osservare la realtà in tutti i suoi aspetti, perché anche la creatura più umile ci avvicina alla meraviglia. Il cosmo non è un ammasso caotico, dominato dal caso, ma procede verso uno scopo, ha un fine, che il filosofo riesce a scorgere nella trama della natura. Niente deve essere sottratto allo sguardo (la vista è l’organo fondamentale del filosofo), perché anche la materia ignobile, le viscere, parlano della medesima bellezza di cui è informato il mondo. Non inutile il riferimento a Eraclito, non soltanto nell’ambito del legame che la filosofia intrattiene con la sapienza antica. Riferendosi alla nobile fonte, Aristotele sottolinea che ogni cosa che è sulla terra è permeata dal sacro. Osservare il mondo, perciò, pur con occhio scientifico, è sempre un’esperienza “religiosa”.
Si è optato, vista la difficoltà del brano, per una traduzione semplice e aderente al testo, perché siano chiari i nodi grammaticali più ostici. Il brano presenta numerose ellissi, difficilmente risolvibili, soprattutto nella parte finale (che non è neppure ben spiegata dal titolo). Essa ha un carattere strettamente tecnico e di alcune parole andava cercato sul dizionario il significato propriamente filosofico (un esempio è hyle, il cui primo significato è “selva” ma che andava tradotto con “materia”).
Numerosi i passi complessi; per segnalarne alcuni, nella prima parte il “detto” di Eraclito non si trova subito dopo il verbo eipeín (dire), ma in una parentesi, dopo la descrizione dello stupore degli stranieri. Per fortuna uno dei passi più difficili era tradotto dal titolo (chissà se gli studenti se ne saranno accorti subito): un avverbio sostantivato e un complemento di fine sono il soggetto dell’estì del periodo centrale; per non parlare della prolessi del relativo e l’attrazione nel caso del pronome (la grammatica del Campanini-Scaglietti lo definisce un caso piuttosto raro) del termine télos. Questi i punti più ostili, poi ci sono le difficoltà per gli studenti meno abili: lo spirito aspro dell’hautou poco dopo la parte centrale o l’ésti col significato di “essere possibile”.
Ripensando la struttura complessiva della seconda prova nei licei classici, sarebbe interessante che gli alunni potessero svolgere oltre alla traduzione un’analisi del testo (anche poetico, perché no?), oggetto di valutazione da parte degli insegnanti.