Dopo avere proposto su queste pagine l’“algoritmo” vincente per affrontare la prova di greco, non mi sottraggo ad un giudizio sulla stessa. Non nascondo la mia perplessità di fronte alla decisione ministeriale.
La scelta di un autore come Aristotele è ovviamente condivisibile: forse nessuno come lui ha dato un contributo alla formazione della civiltà occidentale. L’idea di riproporre l’idea del tèlos, cioè della finalità, e dell’importanza di ogni aspetto che concorre alla formazione del tutto è pregevole. Il mostrare come di fatto nel mondo antico, per usare una terminologia moderna, la conoscenza “scientifica” fosse parte integrante di quella che noi definiamo “umanistica”, è meritorio.
La selezione di questo passo è però per lo meno discutibile. Le difficoltà tecniche, strettamente linguistiche (intendo proprio morfosintattiche e lessicali), mi paiono in qualche punto eccessive e sproporzionate rispetto ad un livello liceale. Ho visto prove assegnate a studenti di lettere classiche (quindi gli “specialisti”, i professionisti della disciplina) decisamente più accessibili. In qualche punto avrebbero potuto incontrare qualche difficoltà nel primo approccio anche docenti.
Sono d’accordo che la traduzione di questo passo non era impossibile, ma mi chiedo da quanto tempo non metta piede in una classe reale chi ha selezionato la prova: da Franca Gusmini sul Corriere, a Luciano Canfora su Repubblica si sottolinea questa eccessiva complessità. Il problema non è imputabile al fatto – come sostiene Canfora – che gli studenti non sono abituati a tradurre testi filosofici ma solo quelli di contenuto narrativo: nella scuola è consuetudine proporre una varietà di testi, e generalmente sia nella prassi didattica sia nei libri di testo la prosa filosofica ha un certo rilievo. Certo il De partibus animalium non è il testo più letto nella scuola, ma tutti dovrebbero avere tradotto un po’ di Platone, Aristotele, Epicuro, ecc. La difficoltà, ripeto, era di ordine meramente linguistico.
Come si è giunti allora a selezionate un testo del genere per la seconda prova? Premessa la buona fede del ministero, mi permetto di avanzare una ipotesi.
L’impressione è che chi ha estrapolato il passo da tradurre abbia letto il testo già in traduzione italiana (o comunque in lingua moderna) e poi, senza misurarsi con la resa di ogni passaggio, si sia orientato approssimativamente con testo a fronte. L’interesse per il contenuto del testo (e nessuno penso può negarlo) avrebbe, a mio avviso, annebbiato la valutazione dell’incaricato ministeriale.
Io spero in una leggerezza in buona fede, che però dà nuovi argomenti a chi vorrebbe eliminare la prova di traduzione (se non addirittura la prassi traduttiva). Se c’è uno che ancora tiene alla prassi traduttiva nella scuola, quello sono io. Però, come dicevano gli stessi greci, bisogna evitare gli eccessi. Sul tempio di Apollo era scritto infatti: medèn àgan (niente di troppo).
Una considerazione finale. La prova ministeriale, che lo si voglia o no, fornisce uno standard. È interessante leggere di seguito i titoli ed i testi proposti associandoli agli anni in cui sono state assegnate le prove. Si scoprono così dati rilevanti: per esempio quale contenuto interessava di più in un determinato momento a livello di contenuto, oppure il livello di difficoltà. Per stare solo a questo dato i testi proposti negli anni 60 sono decisamente più semplici di quelli di questi ultimi anni. La severità dei vecchi tempi è più un mito che una realtà.
Per tornare alla prova 2012 la levata di scudi generale, l’unanime critica ha in un certo senso risvegliato e reso manifesta la consapevolezza dei docenti sulla tipologia della seconda prova e sulla disciplina. Più fortunati degli altri sono stati per esempio quegli studenti delle sperimentazioni ancora in atto che hanno avuto la possibilità di integrare la valutazione della loro prova con un commento che potesse mettere in luce e a frutti il bagaglio culturale acquisito in cinque anni, anche a fronte di qualche imprecisione traduttiva. Insomma imparare greco non è e non deve essere un traguardo inaccessibile, talmente alto che è riservato a pochi eletti. Esiste una moltitudine di testi accessibili, interessanti e non necessariamente astrusi con cui è possibile dimostrare ciò su cui si è lavorato per cinque anni. Frequentare il liceo classico è ancora possibile, oggi, e vale la pena in vista del domani. Le critiche a questa prova in fondo mettono in luce questo: è sensato porre, e in questo modo, a conclusione del ciclo liceale un traguardo come questo?