Si è proceduto alla revisione/riscrittura delle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”. L’operazione è stata affidata ad una commissione ministeriale di “esperti” e di consulenti, le cui riflessioni ed idee hanno fatto i conti con gli esiti del monitoraggio Miur-Ansas realizzato alcuni mesi fa; monitoraggio fatto a tappeto su tutte le scuole dell’infanzia e del primo ciclo (già si è detto del limite di tale monitoraggio su queste pagine).



Partiamo da un dato positivo. Il restyling del testo uscito dalla commissione ministeriale centrocentrica è stato offerto come oggetto di analisi e commenti, sottolineature e suggerimenti ad associazioni professionali e alle scuole. Piccolo passo di “democratizzazione” del rapporto centro/base ma che va letto positivamente nella sua dimensione dialogica con la scuola reale. Il rapporto tra centro e periferia si fa meno asimmetrico. E ciò è già un segnale positivo.



Con una premessa doverosa. Nei confronti delle Indicazioni del 2007 le scuole hanno dimostrato una volta di più la loro capacità di “metabolizzare” corpi estranei alla loro quotidianità, procedendo in un’azione pedagogica, didattica e culturale pensata, riflessa che spesso ha lasciato sullo sfondo il quadro nazionale centrale. Le scuole si sono dimostrate anche in questo caso impermeabili a cambiamenti più o meno opportuni suggeriti/imposti dall’alto. Non certo per pura negligenza, ma perché la quotidianità scolastica chiede agli operatori scolastici un’intelligenza sulla situazione reale e specifica del contesto in cui operano.



Notevole è la creatività culturale e didattica dimostrata dalle scuole che è diretta ad individuare efficacia ed efficienza del proprio operato. L’impeto di innovazione pervade trasversalmente l’arcipelago scolastico che crea, modifica, aggiusta schemi di azione in prospettiva del raggiungimento di obiettivi educativi e di conoscenza significativi per l’utenza.

È a questo punto che sorge la necessità della presenza di un testo che costituisca punto di riferimento e di sintesi dell’operato delle singole istituzioni scolastiche, operato peraltro suggerito dall’art. 8 del Regolamento dell’autonomia – DPR 275/1999).

Le Indicazioni nazionali, come sostiene correttamente Giancarlo Cerini (Edscuola.it) dovrebbero “rendere prescrittivi alcuni aspetti essenziali dei ‘programmi nazionali’ (come i profili attesi al termine dei diversi livelli scolastici, i traguardi fondamentali delle discipline ‘portanti’), mentre gli aspetti più operativi (…) dovrebbero essere demandate a strumenti più informali e più agili (linee guida, raccomandazioni, tracciati curricolari ecc.) messi a disposizione delle scuole dalle comunità scientifiche e professionali e offerti alla libera adozione dei docenti”.

Entrando nel merito della bozza delle Indicazioni proposta a commenti e riflessioni, si possono evidenziare alcuni punti di criticità e di positività. È evidente che la scelta attuata dal ministro Profumo privilegia apertamente il testo delle Indicazioni del 2007 (Fioroni/Ceruti), espungendo dalla configurazione generale del testo alcuni riferimenti alle Indicazioni del 2004 di paternità morattiana (va ricordato che fino ad oggi le scuole hanno potuto far riferimento ad entrambi i testi del 2004 e del 2007). In realtà il monitoraggio attuato alcuni mesi fa ha evidenziato che le scuole hanno privilegiato un riferimento alle Indicazioni di Fioroni.

Un recupero interessante dell’impianto del 2004 è rinvenibile nell’introduzione di un “profilo” dello studente al termine del primo ciclo di istruzione. Opportuna integrazione al testo delle Indicazioni rivisto. Si tratta di capire che significato e che “peso specifico” attribuire a tale profilo. Assume esso lo statuto di standard nazionali di riferimento che ogni scuola deve tener presente e raggiungere nella sua azione formativa e didattica? Se sì, come è auspicabile, questo elemento all’interno del documento va precisato, esplicitato nelle intenzioni e nella sua portata di punti di riferimento nazionali per tutte le scuole. Qui si gioca il rapporto tra unità nazionale delle scuole ed autonomia dei singoli istituti scolastici. Ed è una sfida non da poco che chiede attenzione ed equilibrio, perché ciò che costituisce un corpus caratterizzante l’essenza della scuola italiana faccia da punto di riferimento e di verifica reale per la singola scuola. Quest’ultima fino ad oggi ha patito difficoltà a gestire un’autonomia di azione orientata e corroborata da un quadro generale su cui valutare e verificare la propria identità operativa.

Nel nuovo testo sparisce l’accorpamento delle discipline in aree disciplinari (definite “assi” nelle Linee guida per il biennio – DM 139/2007). Questa cancellazione presenta un aspetto negativo e una intuizione prospettica interessante. Non è chiaro se il documento per il biennio dell’obbligo scolastico debba influenzare, e in quale misura, il testo delle Indicazioni per il  primo ciclo. Certamente occorre trovare, se non una omogeneità, un raccordo ed una struttura coerente perché il percorso scolastico 6-16 anni si fondi su criteri e postulati pedagogici e culturali strutturati in un format comune. La non strutturazione delle discipline in aree di riferimento per converso sottende  una prospettiva interessante. Si presuppone che tutte le discipline abbiano delle valenze aperte le une con le altre, tutte possono contaminarsi; si possono (si devono?) costruire reti di rapporti tra le varie discipline, presupposto per la costruzione dell’unità del sapere e della conoscenza. In quest’ottica  si può valutare positivamente la comparsa nella bozza delle Indicazioni delle “competenze-chiave” definite dal Parlamento europeo nel dicembre 2006, elemento dimenticato nel testo delle Indicazioni del 2007.

Nella bozza viene mantenuta la dicitura “traguardi per lo sviluppo delle competenze” che “riconferma il carattere dinamico e aperto dei processi di apprendimento che si deve salvaguardare nella scuola di base” (Cerini). Un simile titolo può far sospettare un approccio light alle competenze ma ha una ragion d’essere. Il problema che si apre riguarda il rapporto tra i “traguardi” e la certificazione delle competenze. Ora, presso il ministero sta lavorando una commissione che mira ad individuare un modello di certificazione delle competenze e i criteri per procedere a tale azione.

L’augurio, che sembra essere già realtà, è che le due commissioni dialoghino perché l’operazione di certificazione sia collegata a presa in carico di concetti, criteri e prassi che le Indicazioni suggeriscono. Se le Indicazioni vengono assunte come punto di riferimento, non dettàmi, allora è possibile che una scuola delle competenze diventi mentalità interiorizzata, consapevole e stimolante di concrete avventure ragionevoli e ragionate.

Ciò deve interrogare il ministero nel riformulare, limare, esplicare il nuovo documento delle Indicazioni. Si può essere d’accordo o in disaccordo con impostazioni e “precetti” inscritti in testi legislativi, quel che conta è che da parte di scuole e docenti siano fatti propri criteri di giudizio e certezze padroneggiati dal proprio io professionale e supportate da idee e conoscenze fatte proprie. 

Anche in questo senso va (ri)pensata la formazione in servizio.

 

Leggi anche

SCUOLA/ Le nuove indicazioni "salvano" gli studenti e l'autonomiaSCUOLA/ Il Miur e l'enigma del "piacere"SCUOLA/ Il "quiz" da risolvere per riportare i ragazzi a imparare