Va letta con attenzione la parte dedicata alla storia nella bozza delle nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione. Una storia esemplare, verrebbe fatto di dire: aiuta a mettere a fuoco questioni cruciali per la scuola italiana. In quanto tale val la pena di considerarla.

Non posso qui, naturalmente, riassumerla in modo analitico. Fra gli aspetti positivi è l’ampia libertà che riconosce agli insegnanti nell’articolare il percorso fra le classi e nel determinare gli aspetti del processo storico sui cui soffermarsi maggiormente e, soprattutto, sui metodi didattici da adottare (sparisce anche l’obbligo, assai discutibile a mio avviso, di dedicare i primi anni alla costruzione-formalizzazione dei concetti di tempo e simili). Ma quel che più colpisce è l’attenzione preminente al rapporto con la storia “esperta”, quella degli storici, alla “storia come campo disciplinare”, come subito si enuncia in apertura. 



Si parte con alcune considerazioni su cos’è la storia per gli studiosi, e considerando che nella scuola va portata la “storia generale” si svolgono considerazioni circa la sua natura e i suoi temi nel contesto della storiografia, in termini di storia sia mondiale che italiana. Quanto ai metodi e alle finalità culturali e formative che si assegnano all’insegnamento, si parla di “attività laboratoriali che formino le abilità metodologiche di uso delle fonti, le abilità di usi dei testi e le abilità di formazione di sistemi di conoscenze”. Si dà poi rilievo al fatto che “la storia si apre all’utilizzo di metodi, conoscenze, visioni e concettualizzazioni di altre discipline” come la geografia e l’educazione linguistica. E ci si sofferma sul contributo che la storia può dare all’educazione al patrimonio culturale e alla cittadinanza attiva; per costruire la quale hanno un ruolo decisivo “gli apprendimenti metodologici, la cultura storica, il pensiero storico promossi dall’insegnamento”. Posto questo inquadramento, obiettivi di apprendimento e competenze da raggiungere lungo il percorso scolastico sono interamente definiti in ragione di un progressivo accrescimento delle capacità di padroneggiare metodi, strumenti e forme di pensiero propri della storiografia. 



Normale, scontato un simile impianto? Può apparirlo: è in definitiva la medesima filosofia che, variamente modulata, ha ispirato programmi e indicazioni dal 1985. Al centro la disciplina, obiettivo portare i bambini e i ragazzi a usarne e comprenderne metodi e strumenti concettuali. E però… Se per un momento provassimo a mettere al centro dell’attenzione il bambino, come è fatto, chi è? D’un tratto ci renderemmo conto di una contraddizione: che le discipline cui guardiamo come modello e traguardo sono pensate da e per adulti; sono espressioni di un pensiero da e di adulti. Mentre è evidente che i bambini hanno forme di pensiero diverso da quello adulto. Un pensiero, ormai lo si sa, e basta solo osservare e ascoltare, capace anche di straordinarie acutezze, intuizioni e comprensioni; ma per vie, appunto, altre. 



Se è così, allora, invece che quella di portare il prima possibile i bambini alla storiografia “degli storici” – adulti, appunto − la preoccupazione prima non dovrebbe essere quella proporre ai bambini una storia, un rapporto con il passato umano, concepiti in forme che essi possano appieno pensare? Che sarebbe la via per rendere la storia “bella”, appassionante, viva, insomma “piena di senso” per loro. Tale dunque, oltretutto, che con il maturare fisiologico − nel tempo − di un pensiero via via più adulto essi fossero poi indotti ad applicare con entusiasmo questo “nuovo” pensiero a un campo di conoscenza, quello storico, che sentirebbero come fascinoso. 

Giacché poi, in definitiva, la grande questione culturale e direi quasi ormai antropologica, in quest’ambito, è il generalizzato disinteresse e così spesso disgusto, o comunque ignoranza, dei giovani per la storia e per la dimensione storica. Tanto che verrebbe fatto di dire che il primo, e centrale, e decisivo obiettivo nei primi gradi di scuola dovrebbe essere non tanto di far lavorare i bambini come degli storici, ma di suscitare, o piuttosto non disperdere in loro il gusto e la passione per il rapporto con il passato umano. Obiettivo che, guarda caso, la bozza delle indicazioni non evoca neppure…

Vero che, secondo la nota tesi di Mattozzi, uno degli autorevoli autori del testo, vi si dice che nella scuola primaria ci si deve concentrare sui quadri di civiltà, per passare solo dopo ai processi, alle trasformazioni e agli eventi, in funzione dell’evolvere delle capacità con l’età. Ma questo non tocca il cuore della questione. Per evocarne solo l’aspetto più evidente: si pensi a quel che spiega Bruner (ma già lo diceva Rudolf Steiner un secolo fa), che fino a una certa età il bambino pensa con un pensiero narrativo; o si pensi al gusto, alla passione dei bambini per le storie. Non ne deriva la necessità “ovvia” di proporre la Storia come intessuta, fatta, intrecciata di storie? insomma come “una storia” (vera!). Storie da raccontargli, o da fargli ricostruire, a partire dall’esplorare documenti (strumenti, allora, non scopi dell’azione didattica), e far loro raccontare, e magari recitare e giocare, o disegnare e dipingere… Storie fatta di uomini e donne, con cui stabilire un rapporto, un’“amicizia” , con cui identificarsi, di cui immaginare il volto e le vicende….

Un esempio, dicevo all’inizio. Perché il discorso può valere per tutte le aree disciplinari. È, forse, la questione di fondo della scuola. Proporre i saperi secondo categorie di pensiero adulto, che non dicono nulla ai bambini, o mettere al centro il modo di pensare del bambino, e dunque forme di sapere che lo possano entusiasmare?

A proposito: avete mai visto un sussidiario per la scuola primaria che un bambino apra e abbia voglia di leggere?

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