Gentile direttore,

leggo con piacere su IlSussidiario.net di oggi una domanda profondamente interessante: “cosa rimane ad uno studente bocciato?” Sarà perché nella mia movimentata carriera scolastica ho subito due volte la scottatura di una bocciatura, sarà perché la questione del “cosa rimane”, in un mondo in cui tutto scorre via e più orme non lascia mi affascina profondamente, fatto sta che questa domanda ha catturato la mia attenzione e costretto a scrivere queste poche righe. 



Che si nasconda nella maschera spocchiosa di una debole superbia o che si accusi il colpo nel viso che tetro si fa da spassoso, alla vista rosso fuoco del fatidico “non ammesso” un ragazzo di quindici-sedici anni si accende come una fiaccola: una sete ardente di sapere cosa vale gli sale dalle viscere. Tanto di ciò su cui si è costruita la propria vita sembra crollare d’un colpo: si abbandoneranno i vecchi amici di classe e i professori, si muteranno abitudini consolidate e ci si ritroverà col sapore amaro di una sconfitta che non fa più grandi, come si era pensato, ma molto molto più piccoli. Quanto sembrava bastare sino a poco prima d’un tratto si svela smunto, piccino, emaciato, talmente insufficiente da diventare insopportabile. Si tocca con mano la vanità di ciò su cui si era volentieri poggiato i piedi e ci si sente piccoli dinanzi a un mondo che di colpo si avverte più grande, troppo più grande. La bocciatura è un momento di passaggio – come il matrimonio, la malattia o la morte – e per questo avvicina al mistero.



Di fronte allo sbandamento della sconfitta e al dolore del fallimento, urge e si erge la più bella e preziosa fra le domande: che valore ha la vita? Quando più forte è la percezione del (proprio) nulla, paradossalmente, più semplice è capire la grandezza, nostra e del mondo. Se ciò che si pensava capace di far vivere vivere non fa, cosa mette davvero pace a un cuore così inquieto e risvegliato? 

La bocciatura può essere l’inizio di un’avventura di conoscenza drammaticamente stupenda, su cui può iniziare davvero una “vita nuova”. Come è stato per il sottoscritto, che da “bad boy” di Tor Bella Monaca – con una bella brutta fine già preventivata da tanti professori cartomanti che non vivendo il presente fanno previsioni sul futuro – si è ritrovato quasi per caso (come amo dire) a lavorare in università e a gustare giorno per giorno il gusto dello studio e della scoperta. Occorre avere la fortuna, l’inestimabile fortuna, di incontrare adulti che sappiano prendere per mano questo indomito cuore affranto e offrirgli un’ipotesi degna da percorrere e attraversare. Di questo hanno bisogno i ragazzi bocciati. Come ognuno di noi. Su questo, siamo tutti bocciati!



Lorenzo Ettorre