Il merito entrerà nella scuola? Sembra proprio di sì, con un decreto del governo Monti che premierà gli studenti migliori con borse di studio e riconoscimenti pubblici di diverso tipo. 

Va benissimo premiare gli studenti che eccellono, ma sostenere che sia questa l’introduzione del merito nella scuola, è contro la realtà. Il ministro Profumo sta con il suo metodo sollevando questioni giuste: lo ha fatto con il Tfa, lo fa ora con il decreto sul merito, ma deve imparare ad essere più incisivo, a capire quale forma dare alle istanze che da persona intelligente avverte, altrimenti, come già successo con il Tfa, finisce per tradire nei fatti ciò che è pur valido come intenzione. 



Il problema del merito è senz’altro una delle questioni più importanti del sistema dell’istruzione; a maggior ragione lo è oggi, quando si sono raggiunti livelli di diffusione dell’istruzione mai visti prima, come esito del processo di scolarizzazione portato dagli anni 70. Ma non si può ridurre il merito a qualche premio che la scuola concede, bontà sua, agli studenti che si distinguono per i risultati ottenuti nel corso dell’anno. Fare questo non è introdurre il merito nella scuola, ma semplicemente valorizzare chi si impegna ed ha particolari capacità. Se si vuole introdurre il merito nella scuola e farlo seriamente, occorre prima chiedersi che cosa sia il merito e dunque che cosa si possa identificare come valore dentro una esperienza scolastica. Una domanda cui dare risposta, prima di procedere a qualsiasi forma di valorizzazione o di promozione, una domanda che di fatto oggi è pressochè inevasa dando così luogo a tanti, troppi equivoci.



In questa direzione val la pena sottolineare che in campo educativo il merito è relativo, non nel senso di relativo alla discrezionalità del valutatore, ma relativo al percorso che ogni studente fa: riguarda il punto da cui parte e il punto cui arriva, per cui per valutare il merito bisogna saper cogliere la realtà, identificare il cammino di crescita di ogni studente e riconoscere il valore aggiunto di ogni percorso individuale, là dove si gioca il rapporto tra insegnante e libertà dello studente. Fare questo lavoro è decisivo per iniziare a dire una parola significativa sul merito, uscendo dalla dialettica ideologica degli anni 70 e 80 per arrivare a descrivere la realtà educativa per ciò che è in se stessa, ossia il cammino verso la conoscenza che uno studente mette in atto.



Per questo, prima di parlare del merito degli studenti bisogna mettere a tema il merito degli insegnanti. È qui che il discorso attuale è monco. Si vuole premiare il supposto merito degli studenti senza capire che dipende da quello degli insegnanti che è il primo merito a dover essere valorizzato. 

Al posto di istituire borse di studio o riconoscimenti vari, il ministro Profumo dovrebbe introdurre il merito nel corpo docenti e iniziare a valorizzare i docenti che si impegnano a livello educativo e ottengono risultati positivi, riuscendo a portare alla conoscenza studenti che si trovano in difficoltà obiettive, con punti di partenza estremamente deboli.

Quel che si deve conquistare nella scuola di oggi è che l’insegnante è un valore aggiunto, mentre viene ancora trattato come un robot che ha dei compiti da eseguire. E molti insegnanti sono così, dei burocrati dell’educazione, accanto a insegnanti che invece incidono dentro l’orizzonte culturale di uno studente e lo aprono al conoscere e al fare. 

Bisogna quindi che il ministro Profumo cambi approccio. Perché non cominciare a chiedersi come identificare e premiare gli insegnanti che meritano? Fatto questo, si dovrebbe andare a premiare gli studenti, anche qui non con riconoscimenti in più, ma valorizzando lo studio quotidiano, rendendo l’ambiente scolastico un luogo affascinante, dove chi vuole può percorrere fino in fondo il cammino della conoscenza.

Ma c’è un’altra questione, indissolubilmente legata a questa. Se la prima condizione è intendersi sul merito, perché il merito è la valorizzazione del singolo studente, è costruire una scuola che non abbia come fine quello di portare tutti allo stesso livello, pur alto, pur altissimo, ma che faccia tutto per far crescere ogni studente per quello che è; ebbene, legato a questo primo presupposto ce n’è un secondo, ed è che per avere una scuola che valorizzi il merito, che alzi i livelli di qualità, c’è una sola cosa da fare: creare una scuola realmente libera, metterla in grado di essere autonoma e paritaria anche dal punto di vista didattico ed economico. 

Oggi lo è solo sulla carta, per questo non c’è valorizzazione del merito, perchè non vi sono le condizioni perché una scuola o un insegnante possano promuovere le qualità e le capacità di cui dispongono. Senza libertà della scuola c’è solo un merito fittizio; con la libertà della scuola ognuno potrà esprimere il meglio delle sue potenzialità.

Per questo, al posto di spendere soldi per premiare studenti dell’anno − che di fatto sono solo l’esito di pure contingenze, sarebbe meglio che il governo trovasse le risorse per potenziare autonomia e parità, valorizzando così il lavoro dei docenti, vera base su cui può poggiare il merito di ogni studente.