In una delle scuole americane più innovative, la “The Gardner School” di Vancouver, tra le capacità di base che si intendono sviluppare negli alunni si comprende anche lo handwriting, cioè la scrittura “a mano” (o grafia o calligrafia). Nei programmi francesi per la scuola materna e primaria lo spazio dedicato all’apprendimento dei “gesti” della scrittura è molto ampio. Al contrario, nel nostro Paese le Indicazioni nazionali predisposte dal ministero dell’Istruzione e finalizzate alla costruzione dei curricoli di studio non citano per nulla la scrittura “a mano”.



Sarebbe fondamentale, invece, che venisse operata la distinzione tra la scrittura intesa come capacità di riproduzione delle lettere e la scrittura come più ampio comportamento linguistico, anche perché la prima è la necessaria premessa della seconda. Altrettanto importante sarebbe il richiamo al fatto che in entrambi i casi è comunque in gioco la dimensione cognitiva e che la riproduzione delle lettere non fa riferimento esclusivamente ad abilità di tipo motorio.



A tale disattenzione suppliscono in parte l’editoria, attraverso la pubblicazione di fascicoli operativi di prescrittura (che spesso gli allievi utilizzano senza adeguata assistenza da parte degli adulti), e gli insegnanti (che però raramente sono compiutamente consapevoli delle molteplici abilità in gioco). Il risultato è che frequentemente le attività di prescrittura si traducono nel rafforzamento di abitudini errate. Non a caso oggi si constata che la maggior parte degli adolescenti e dei giovani scrive in modo pressoché incomprensibile, anche quando non è possibile parlare di vera e propria disgrafia.



Le Linee guida sui Disturbi specifici di apprendimento, emanate dal Ministero dell’Istruzione nel 2011, consigliano l’utilizzo di programmi di videoscrittura e invitano gli insegnanti a utilizzare, nelle prime fasi di apprendimento della lettura e della scrittura, lo stampatello maiuscolo, a curare i movimenti corretti della scrittura, a verificare la corretta impugnatura della penna, a fare in modo che gli allievi eseguano i movimenti nella direzione corretta. I caratteri peculiari della disgrafia non sono però sufficientemente evidenziati e, in ogni caso, le misure proposte non valgono solo per gli alunni con Dsa: esse, infatti, corrispondono ad alcune delle fasi iniziali dell’apprendimento della scrittura e valgono per tutti gli alunni indistintamente.

Ogni capacità, quindi anche la scrittura, viene infatti conseguita attraverso una serie di fasi che si susseguono secondo un ordine ben preciso e soprattutto rigido, influenzato dai tempi di maturazione del sistema nervoso e dalle stimolazioni del contesto. Laddove possa sembrare che gli allievi “saltino” dei passaggi, in realtà si verifica, più semplicemente, che questi rimangono impliciti, continuando comunque a essere necessari.

Inoltre la scrittura non è semplicemente una tecnica che si può acquisire prescindendo da tutto il resto. Essa richiede abilità complesse di ordine superiore, in cui i movimenti muscolari si integrano con i processi cognitivi. Ridurre la disgrafia unicamente a problemi di coordinazione motoria è quindi profondamente errato. Il cervello umano non esprime funzioni elementari separate ma insiemi organizzati di funzioni che si evolvono nel corso dello sviluppo. Perciò anche per la disgrafia, come per tutti i disturbi di apprendimento, a rigore non si dovrebbe parlare di “rieducazione”, ma più semplicemente di sviluppo, in quanto non è in gioco la perdita di capacità già acquisite, ma il mancato completamento dello loro sviluppo. 

La scrittura si configura inoltre come vero e proprio dispositivo protesico che amplia le capacità di memorizzazione, di riflessione, di ragionamento logico. Come in ogni dispositivo protesico, essa comprende componenti apparentemente solo tecniche (la direzione dei movimenti, la padronanza dello spazio, l’impugnatura della penna, la postura) che però devono necessariamente accompagnarsi a componenti di ordine superiore (come la pianificazione, il controllo, l’inibizione, l’autoregolazione). Da questo punto di vista, i movimenti della mano possono essere interpretati come espressione delle funzioni esecutive, cioè di quelle funzioni di livello superiore che servono a monitorare e controllare i pensieri e le azioni e a realizzare comportamenti finalizzati al raggiungimento di un obiettivo. La mano deve infatti essere in grado di tracciare segni regolari, proporzionati, finalizzati. Altrimenti non siamo nel campo della scrittura ma in quello dello scarabocchio, che significativamente la precede dal punto di vista evolutivo.

La mano, pertanto, non è solo una parte del corpo: essa è intrinsecamente legata allo sviluppo del cervello. Il fatto che nella scrittura la capacità di controllo motorio sia così rilevante non dipende solo da esigenze di leggibilità e comprensibilità. Come rammenta Alberto Oliverio nel suo libro Prima lezione di neuroscienze, la motricità non è solo un prodotto del cervello: essa dà forma alla mente e alla stessa coscienza. Sui movimenti vengono edificate capacità mentali più complesse.

Il fatto che nel corso del tempo i movimenti della mano impegnata nella scrittura diventino sempre più coordinati e raffinati è il risultato della memorizzazione di sequenze motorie conservate nella memoria procedurale, una sorta di memoria muscolare o corporea che conserva quello che potrebbe essere definito il “sapere del corpo”. La scrittura, perciò, non viene imparata semplicemente copiando i modelli delle lettere (e di ciò è prova il fatto che l’alfabetiere non è di alcuna utilità ai bambini con problemi). Essa richiede che l’insegnante faccia vedere come si traccia la lettera, accompagnando i movimenti con la descrizione verbale, e che la mano del bambino venga “accompagnata” dalla mano dell’insegnante.

La capacità di riprodurre correttamente le lettere richiede infatti che il bambino disponga della rappresentazione mentale di esse, nella quale accanto agli elementi visivi legati alla forma sono presenti anche elementi senso-motori legati ai movimenti. Per questa ragione il riconoscimento dell’orientamento delle lettere è più facile scrivendo a mano che non con la tastiera. Sulla tastiera i movimenti non hanno nulla a che fare con la forma della lettera, quindi il ricorso ad essa nelle prime fasi di apprendimento della scrittura priva i bambini di una parte rilevante della rappresentazione mentale delle lettere. Ciò avrà riflessi anche sulla lettura, per cui in molti soggetti dislessia e disgrafia risultano spesso contemporaneamente presenti.

Gli interventi sulla disgrafia non devono quindi risolversi in una privazione dei movimenti necessari per scrivere, ma semmai in una loro enfatizzazione: i soggetti non si limiteranno a scrivere sui fogli di carta ma saranno ad esempio invitati a scrivere in aria, a scrivere a occhi chiusi, a scrivere usando torce elettriche nel buio totale. Allo stesso modo occorre però preoccuparsi anche della percezione visiva, della lateralità, della padronanza dello spazio, della memoria, della rappresentazione mentale.

Le indicazioni più interessanti per impostare interventi efficaci vengono dalle ricerche sui neuroni specchio e sul costrutto di competenza. Le prime permettono di comprendere che, poiché la scrittura è uno schema motorio appreso, diventa necessario che, attraverso l’osservazione dei movimenti realizzati da un altro individuo, l’imitazione di tali movimenti e la loro reiterazione in forma molto lenta e accurata, si attivino nel cervello degli allievi quei gruppi di neuroni che permettono l’elaborazione di uno schema di movimento che fino a quel momento il soggetto non possedeva. La seconda categoria di ricerche induce a realizzare che occorre in primo luogo capire a quale fase di sviluppo di quella specifica capacità il soggetto si è fermato o quale fase non ha affrontato compiutamente e che spesso occorre “ripartire dall’inizio”, rispettando e talvolta ricostruendo la sequenza delle fasi.

Le misure dispensative e compensative applicate indiscriminatamente rischiano infatti di peggiorare le condizioni dei soggetti affetti da Dsa, ai quali è come se venisse completamente impedita la possibilità di costruire in tempi successivi ciò che è venuto loro a mancare in tempi precedenti. Il “meccanismo scrittorio”, inoltre, non fa riferimento a una rete neuronale rigida e inalterata nel corso del tempo. Si dovrebbe parlare più correttamente di emergenza della scrittura anziché di solo apprendimento, in quanto essa si forma attraverso processi interni al bambino che nel corso del tempo diventano sempre più complessi e differenziati e che sono collocati su una linea di continuità. Sono proprio questi processi interni a evidenziare come la scrittura possa essere intesa come un “linguaggio attraverso le mani”, le quali, al termine della fase di apprendimento strumentale, diventano capaci non soltanto di riprodurre la forma delle lettere, ma di personalizzare la grafia, esplicitando attraverso essa le emozioni, il temperamento, il carattere dell’individuo.

Quale tastiera metterà mai in grado di realizzare ciò? Pensare di trascurare, nella scrittura, l’importanza delle mani, significa perciò apprendere di meno, essere meno istruiti e quindi, parafrasando un noto psicologo americano, diventare meno umani. 

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