Caro direttore,

gli esami di Stato con i colloqui in corso sono ormai in dirittura d’arrivo. Per un buon numero di studenti le fatiche di questo esame sono già finite e con amarezza o gioia chiudono un momento comunque importante del loro percorso scolastico. Sono due le valutazioni che più si impongono mentre si è impegnati a svolgere al meglio questo esame tanto osannato o tanto vituperato.



1. La prima osservazione riguarda l’esame stesso, che più lo si fa più dimostra la sua inefficacia a realizzare l’obiettivo per cui è stata varata l’attuale formula. L’obiettivo era altamente positivo: una valutazione giusta delle qualità degli studenti, così che finalmente si potesse premiare il merito. Non è quello che sta avvenendo, proprio perché gli insegnanti spesso non sanno che cosa sia il merito e applicano pedissequamente un meccanismo. In questo modo viene premiato la ripetizione delle nozioni, e questo diverrà ancor più stringente con una terza prova Invalsi su tutto il territorio nazionale. 



Bisogna trovare un modello d’esame diverso da quello attuale che valorizza chi ha imparato a fare un taglia e incolla delle conoscenze. Sono la genialità, la critica, la capacità inventiva che devono essere messo al centro dell’esame. Oggi, invece, sono le prime qualità ad essere penalizzate! Basta pensare alle tracce della prima prova scritta così come è strutturata oggi, che dissuadono gli studenti dal cimentarsi in un lavoro creativo, in cui mettere il meglio della loro personalità. Perché non torniamo al vecchio tema? Perchè non mettere ogni candidato davanti al foglio bianco e armato della sola sua genialità?



E che dire della presentazione delle “tesine”, che dovrebbe essere il fulcro del colloquio, e a cui mediamente si riservano dieci minuti come scotto da pagare al regolamento degli esami? Invece nelle tesine si vede se uno studente ha messo in gioco sé stesso oppure ha fatto un mediocre lavoro di ricopiatura di tesine preconfezionate. Come sarebbe innovativo un colloquio solo sulle tesine, con gli studenti chiamati a verificare le loro capacità critiche e rielaborative e gli insegnanti sfidati a giudicarle! Sarebbe la fine dell’insegnante che chiede quando è morto Napoleone, per lasciar posto ad un insegnante che si confronta con un lavoro critico fatto da uno studente o una studentessa. 

2. Se la formula deve essere cambiata, e al più presto, c’è una seconda osservazione da fare che è decisiva. L’esame che è stato inventato pretendeva di sostituire l’insegnante con dei meccanismi perfetti, così che a prove perfette corrispondessero giudizi perfetti, indiscutibili. Un fallimento su tutta la linea. E meno male: gli esami in corso dimostrano che la scuola non può togliere di mezzo l’umano, perché è dell’umano che essa vive. Sia nel bene, sia nel male. 

Umane sono le ingiustizie di tanti insegnanti che rovinano con il loro modo di giudicare o di interrogare l’ultimo atto di uno studente di scuola superiore, umana è la capacità di tanti insegnanti che cercano di cogliere il valore di ogni candidato all’esame così che possa emergere nella sua particolarità. Per valutare c’è bisogno di uomini e donne che impegnino la loro sensibilità, che sappiano “sfondare” la struttura della loro disciplina per cogliere la tensione alla conoscenza che ogni studente o studentessa porta con sè. In questo modo l’esame di Stato sarebbe affidato alla libertà di insegnanti che possono viverlo come occasione per sé, oppure come applicazione burocratica di un arido meccanismo. E tornerebbe ad essere una vera sfida.