Negli ultimi giorni si è diffusa la notizia di un accordo, ormai in fase di definizione nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, circa l’assetto dei confini tra potestà legislativa statale e potestà legislativa regionale in materia di istruzione. È possibile, dunque, che a distanza di più di un decennio dalla riforma costituzionale del 2001 il mondo della scuola riesca presto a giovarsi di un quadro di migliore e più efficiente articolazione dei rapporti tra i relativi livelli di governo e le rispettive competenze.



Tale accordo, in particolare, affronterebbe “di petto” il nodo dei tempi e dei modi del trasferimento alle Regioni delle funzioni dell’amministrazione ministeriale periferica, soprattutto al fine di consentire effettivamente l’esercizio delle prerogative che ad esse spetterebbero, invero già dal 1998, in tema di programmazione e dimensionamento della rete scolastica.



In sostanza, si tratterebbe di far “transitare” gli uffici scolastici regionali e le loro articolazioni provinciali (gli Usp, vale a dire gli ex provveditorati) nell’ambito dell’organizzazione regionale, con contestuale passaggio di risorse, umane e strumentali. Si prevede, poi, un possibile utilizzo di questa innovazione quale occasione per la sperimentazione differenziata di ulteriori trasferimenti, vuoi sul piano del rafforzamento dell’autonomia scolastica (leggasi reti di scuole), vuoi con riguardo all’edilizia scolastica e al reclutamento del personale (innanzitutto amministrativo, salva qualche eventuale e limitata concessione – ma al momento solo virtuale – in ordine alle “chiamate” effettuabili dalle singole istituzioni scolastiche).



Nonostante ciò, queste prime indiscrezioni fanno pensare comunque ad un risultato complessivamente limitato.

È dal 2004 (sentenza n. 13) che la Corte costituzionale ha riconosciuto che le Regioni hanno tutto il “diritto” di subentrare nei predetti uffici statali e che a ciò possono giungere nel momento in cui, per così dire, si rivelino “pronte” ad assumersene la relativa responsabilità e la connessa gestione, al fine di garantire continuità all’espletamento del servizio. Da questo punto di vista, quindi, l’accordo in esame ha una rilevanza puramente attuativa. Ma è evidente che una simile rilevanza non è mai del tutto scontata. Se finora le Regioni non si erano proposte nell’esercizio effettivo delle loro competenze, ciò era dovuto alle scarse disponibilità economiche e finanziarie, elemento che proprio l’accordo dovrebbe contribuire a ridurre. Meglio tardi, quindi, che mai.

V’è da dire, però, che il fattore “tempo” e la puntuale coincidenza con i “lavori in corso” circa il processo di spending review mettono in luce un altro dato non pienamente confortante. Se è indiscutibile che il dominus dell’istruzione resti pur sempre lo Stato (norme generali, livelli essenziali e principi fondamentali gli spettano senza ombra di dubbio), non è affatto positivo che le Regioni siano chiamate alla “conquista” della loro autonomia soltanto in un momento in cui l’amministrazione centrale è alle prese con urgenti questioni di snellimento.

In questo modo si vuole alludere al fatto che l’autonomia è valore che richiede, innanzitutto, un presidio bottom-up, essendo, cioè, una condizione che le Regioni stesse devono cercare, promuovere, tutelare e, se del caso, implementare. Un’operazione simile, in altri termini, sarebbe stata determinante nell’immediatezza della riforma del Titolo V della Costituzione; non necessariamente, invece, in un tempo in cui i tasselli del puzzle sono stati quasi tutti incastrati.

Sempre la Corte costituzionale, del resto, ha già ampiamente “razionalizzato” le potenzialità del nuovo assetto delle competenze. Nel 2009, nella sentenza n. 200, il giudice delle leggi è stato molto chiaro, avendo affermato che «il sistema generale dell’istruzione, per sua stessa natura, riveste carattere nazionale, non essendo ipotizzabile che esso si fondi su un’autonoma iniziativa legislativa delle Regioni, limitata solo dall’osservanza dei principi fondamentali fissati dallo Stato, con inevitabili differenziazioni che in nessun caso potrebbero essere giustificabili sul piano della stessa logica». Orbene, oggi, in una cornice così definita, il fatto che Stato e Regioni trovino un accordo su quel poco che spetta alle seconde potrebbe anche leggersi nel senso di un ulteriore approfondimento dei poteri unilaterali che il primo può ancora esercitare circa la governance dei reciproci rapporti.

Ad ogni modo, è la spending review a fornire un ultimissimo indice di come il procedimento da avviare in base all’accordo sia ancora lungi dal concretizzarsi. All’art. 14, commi 17 ss., del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 e recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica, ad invarianza dei servizi ai cittadini”, non solo si conferma il ruolo strategico che nel processo di dimagrimento statale hanno, in parte qua, gli uffici scolastici regionali, ma si detta una vera e propria disciplina di dettaglio circa le procedure di assegnazione e di mobilità, nei territori regionali e provinciali, del personale docente a tempo indeterminato. 

Il lavoro della Conferenza Stato-Regioni, per ora, deve attendere.

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