È uscito come ogni anno nel mese di luglio il “solito” rapporto nazionale Invalsi, ma questa volta le novità sono molte, sia per il presente sia in prospettiva. L’incarico di segnalarne alcune particolarmente rilevanti è stata assunto dal commissario straordinario Paolo Sèstito (Banca d’Italia) in due sintetiche pagine poste in premessa.



Innanzitutto le novità riguardano il piano delle rilevazioni: dovrebbe essere al varo per l’anno prossimo una prova standardizzata nell’ultima classe del ciclo superiore di II grado, e sono allo studio prove a campione su altre classi, oltre quelle testate, e su altre materie, anche con il mezzo dell’adaptive test a computer. Secondariamente l’operazione-Invalsi sarà resa meno pesante per le scuole e più rapida: il lavoro di immissione dei dati in futuro avverrà mediante la generalizzazione della maschera sperimentata quest’anno per la Prova nazionale di III secondaria di I grado, ed è in fase di attuazione un software per il trasferimento automatico dalle scuole all’Invalsi di tutte le informazioni di contesto richieste per la realizzazione delle indagini. Da quest’anno si prevede la restituzione dei risultati alle singole scuole già a partire da settembre, per un loro migliore utilizzo in fase di inizio d’anno.  



Vengono annunciate anche alcune significative utility: le guide alla lettura di tutte le prove (già sul sito) con la spiegazione degli ambiti e delle difficoltà di ciascun item, da utilizzare come strumento di analisi dei compiti connessi alle competenze; protocolli per l’osservazione degli indicatori di contesto e di processo, per una sistematica azione di autoanalisi e autovalutazione delle scuole, anche con l’aiuto dei dati resi disponibili dal progetto “scuole in chiaro”; un format per la stesura del “rapporto di scuola” per le scuole che decidono di presentare i loro dati al pubblico.



Dal punto di vista tecnico, sembrano finalmente pronte almeno alcune misure di valore aggiunto, quanto cioè le competenze sono “cresciute” nel tempo – da una misurazione all’altra -: quest’anno saranno disponibili le misure sull’arco temporale V primaria-I secondaria di I grado. Un passo importante sarà la costruzione, ormai varata, di ancoraggi che permetteranno di avere una scala di misura unica per le prove da un anno all’altro; questo consentirà di osservare i miglioramenti o i peggioramenti nel tempo, delle scuole e anche delle aree in Italia; attualmente infatti è possibile solo confrontare il posizionamento relativo rispetto alla media, mentre in futuro sarà possibile fare confronti assoluti nel tempo. Misure di valore aggiunto e studio dei dati di background (rilevati con i questionari studente) sono fondamentali per i processi di miglioramento delle scuole: è importante infatti distinguere se le eventuali difficoltà di una scuola siano da attribuire prevalentemente al background oppure a mancanza di efficacia interna (basso valore aggiunto). 

Per la prima volta nel rapporto 2012 i risultati delle prove sono riportati non più in termini di percentuali di risposte corrette bensì su una scala di punteggio (calcolato secondo il modello statistico di Rasch) analoga a quella utilizzata nelle ricerche internazionali Ocse-Pisa, Iea-Timss ecc. Il sistema permette di predisporre comparazioni più solide, anche allo scopo di verificare con maggiore rigore alcune risultanze delle prove internazionali e di quelle nazionali degli anni passati sulla disomogeneità interna dell’Italia. 

I dati comparativi interregionali nel rapporto dello scorso anno erano stati rappresentati graficamente attraverso cartine geografiche, che mostravano per ciascuna regione italiana, sui diversi livelli scolastici e per le due materie testate, dove esisteva uno scostamento significativo in meglio o in peggio rispetto alla media: per la scuola secondaria di II grado la situazione era realmente quella di “due Italie”. Quest’anno, la rappresentazione della posizione reciproca delle macroaree e delle singole regioni è data da una serie di grafici per livello scolastico e per materia (da pag. 50; il grafico è spiegato a p. 43), basati su un valore convenzionale che rappresenta la media (200) e che quantifica anche l’ampiezza della distribuzione dei punteggi: i numeri già parlano chiaro, ma in aggiunta ogni grafico è fornito di un’ultima colonna che mostra attraverso una freccia in su oppure in giù dove esiste uno scostamento significativo dalla media. 

Le discrepanze presenti in II primaria paiono sostanzialmente annullate in V primaria, dove esiste una situazione omogenea a livello nazionale. Dalla scuola secondaria di I grado la forbice si apre progressivamente, fino a mostrare due realtà molto distanti fra loro: nonostante i miglioramenti di Puglia, Abruzzo e Basilicata, restano a livelli bassissimi soprattutto la Sicilia, la Campania, la Calabria e la Sardegna, pur con una piccola tendenza alla riduzione del divario. Come si evidenzia in modo ancor più impressionante nelle figure 4.97 e 4.98 (p. 158), mentre per l’Italia del Nord dalla V primaria (livello 5) alla secondaria (livello 6, 8, 10) i dati sono non solo sopra la media ma in crescita, per le altre aree i dati, oltre che scivolare sotto la media, per il Centro e il Sud-isole mostrano una progressiva decrescita. 

 

Le regioni del Sud fanno registrare invece una lenta ma netta inversione di tendenza rispetto ai comportamenti opportunistici di studenti o insegnanti (copiare o dettare le risposte). Nonostante alcune regioni si distinguano ancora chiaramente per la tendenza a barare, i valori di cheating sono nettamente in calo rispetto al passato. E siccome è noto in letteratura che il solo fatto di sottoporsi a valutazione ha un effetto positivo sul sistema, si spera che questo dato possa essere un indizio di ripresa.

Del resto quello dei comportamenti scorretti è un problema istituzionale e non meramente locale: il rapporto preannuncia che quest’anno le misure riferite al cheating saranno effettuate non solo sulle classi del campione, per garantire la pulizia dei dati medi, ma su tutte le scuole d’Italia: le classi dove si saranno riscontrati comportamenti anomali non avranno la restituzione dei loro risultati, e il dirigente avrà una specifica informativa sul comportamento delle singole classi; questo per evitare che se la scuola decide di pubblicare i risultati essi risultino indebitamente “gonfiati”. 

Il rapporto indaga anche quanto della differenza fra i risultati degli alunni è spiegato dalle loro diverse condizioni di background, il che si è fatto utilizzando fra gli altri i dati di contesto socio-economico e culturale (Escs), rilevati nelle classi V primaria, I secondaria di I grado e II secondaria di II grado. Attraverso modelli di regressione multivariata è stata isolata l’incidenza del dato Escs rispetto ad altre variabili (come l’essere femmina, straniero di I e II generazione, anticipatario, ritardatario, avere certi voti a scuola ecc.). Da questa analisi si evince tra l’altro che i risultati delle prove sia di italiano sia di matematica sono del tutto congruenti con i voti relativi attribuiti nel primo quadrimestre dagli insegnanti di classe. 

Le differenze grezze fra le regioni sono state confrontate con le differenze “depurate” dagli elementi Escs (ultime pagine del rapporto): in alcune regioni il dato grezzo è depresso da effetti di composizione, in altre la composizione gioca in senso inverso (per esempio rispettivamente la Campania e il Lazio, sia in I secondaria di I grado sia in II secondaria di II grado). Nonostante ciò, complessivamente l’ordinamento delle diverse regioni e la distinzione tra Sud e Nord non sembra spiegabile dal solo operare di effetti di composizione.

Evidentemente, i fattori che determinano la divisione dell’Italia in due distinte realtà non sono riconducibili solo al campo dell’istruzione e dei suoi indicatori specifici, come si capisce indirettamente dall’articolo di Luca Antonini su queste colonne, né è possibile che il miglioramento sia affidato solo all’azione interna delle scuole. D’altra parte, è diventato fin troppo evidente anche per i più critici dell’economia dell’istruzione che il fattore “capitale umano” condiziona fortemente la capacità economica e le possibilità di recupero dell’Italia, e delle zone del Sud in particolare. Non è escluso che buona amministrazione, controllo sulla spesa delle Regioni, sostegno sussidiario all’economia che superi una fallimentare logica assistenziale, possano avere effetti positivi sui risultati dell’istruzione; come pure una migliore gestione dell’istruzione, con reti di scuole capaci di produrre miglioramento, una più oculata attuazione di progetti finanziati con denaro europeo (i famosi progetti Pon), e formazione di qualità potranno influire positivamente sul contesto. Nonostante le molte difficoltà, avendo raggiunto una certa chiarezza sul problema, e non essendoci comunque i soldi per tirare avanti così, vale la pena di provare a fare “l’unità d’Italia”: più che mai indispensabile è che il ministero per la coesione territoriale affianchi il Miur nell’impresa.