In questi giorni decine di migliaia di giovani aspiranti docenti si stanno cimentando nelle prove di ammissione ai Tfa (Tirocini formativi attivi), il nuovo percorso per acquisire l’abilitazione (e partecipare poi agli imminenti concorsi per l’immissione in ruolo). Per poter accedere ai Tfa è necessario superare tre prove: la prima consiste in un test a risposta multipla (organizzato direttamente dal Miur e uguale su tutto il territorio nazionale), mentre le altre due (una scritta e l’altra orale) sono organizzate dalle singole università.



Le prime prove già effettuate hanno suscitato aspre polemiche: i candidati, per essere ammessi ai due livelli successivi, dovevano rispondere in maniera corretta ad almeno 42 quesiti su un totale di 60. Era sensato immaginare che, con la prima prova, ci sarebbe stata una certa “scrematura”, ma la realtà ha superato l’immaginazione. In alcuni casi, infatti, si sono verificati esiti alquanto preoccupanti, per non dire grotteschi. Domande assurde e contraddittorie hanno, di fatto, precluso ancora una volta la strada all’insegnamento per tanti giovani. Prendiamo la classe di concorso A036 per insegnare filosofia, psicologia e scienze dell’educazione: delle migliaia di aspiranti, solo 141 hanno superato il primo step, a fronte di un’offerta di 588 posti disponibili. Il dato diventa assurdo se si scopre che in 8 atenei (tra cui Milano, Cagliari, Sassari, Urbino, Trento) nessuno è riuscito a superare la prova. Negli altri atenei pochissimi sono sopravvissuti (a Torino sono passati in 9 su 112, a Firenze in 6 su 187, a Padova in 8 su 148). Si può imputare tale risultato alla mancata preparazione di (quasi) tutti i giovani aspiranti? Non sembra l’ipotesi più plausibile.



Se infatti si guarda alle domande che sono state formulate dagli “esperti” del Miur si scoprono cose assai interessanti (se volete divertirvi, si fa per dire, andate sul sito tfa.cineca.it…): per esempio, su internet impazza la domanda “Amafinio, chi era costui?”, in seguito a un quesito riferito a questo filosofo epicureo non proprio di primissimo piano (presumiamo che avranno risposto solo coloro che hanno saputo nascondere l’IPhone in giacche o calzoni e perciò hanno potuto consultare, eludendo la sorveglianza dei commissari, il mitico Google). Allo stesso modo, se si vanno a vedere alcune delle domande proposte per la classe A051 (lettere e latino nei licei) i dubbi non fanno che aumentare: non sembra infatti fondamentale per un bravo insegnante di italiano o di latino sapere che Bettino Ricasoli divenne presidente del Consiglio dopo Cavour (domanda 27) o che la Nigeria non confina col Mali (domanda 30)! Senza poi considerare l’errore contenuto nella domanda 15, in cui si afferma che Dino Buzzati scrisse “Qualcosa era accaduto” invece che “Qualcosa era successo”… Insomma, senza cedere a lamentele “grilline”, il contenuto di questi quiz lascia allibiti: è senz’altro adatto per un “gratta e vinci” o per partecipare a una puntata di “chi vuol essere milionario”, ma non certo a testare la preparazione seria e fondata di giovani aspiranti all’insegnamento nelle varie discipline. Ma a che gioco si è voluto giocare? Con quali criteri e quale logica si sono predisposti quesiti così assurdi? Possibile che al Miur nessuno abbia sentito la responsabilità di verificare la loro attendibilità (considerando per di più che erano pronti e chiusi nel cassetto da un anno)?



Le domande che alcuni anni fa furono proposte per l’ammissione alle Ssis si rivelano ora ai nostri occhi di gran lunga più sensate e funzionali a una valutazione equa delle competenze dei futuri insegnanti di lettere, filosofia, matematica eccetera. Ci si poteva, alla peggio, ispirare a quel modello, piuttosto che produrre un obbrobrio come quello che è stato somministrato ai malcapitati candidati. A meno che qualcuno al Miur non abbia scientemente voluto restringere la via all’abilitazione dei giovani laureati italiani che si era improvvisamente “riallargata” grazie alla iniziativa di appellogiovani.it e alla raccolta firme dello scorso settembre. 

Insomma, il Governo con una mano ha dato e con l’altra (quella degli ideatori dei test “rischiatutto”) ha tolto. Pari e patta. Meno abilitandi (nuovi, giovani) ci sono, meglio è, qualcuno avrà pensato; ci saranno così meno concorrenti ai prossimi concorsi per l’immissione in ruolo e magari, nel frattempo, sarà anche pronto il decreto (ora in preparazione) che assicura l’abilitazione ope legis dei 70mila precari che non hanno superato a suo tempo le prove per entrare nelle Ssis e che già insegnano da 3 anni. Insomma, un quizzettone-muraglia non per valutare competenze, ma per abbassare il numero di nuovi giovani abilitandi/abilitati. Tragica mossa, per un Paese che dovrebbe avere a cuore la crescita e lo sviluppo! Per non parlare delle università che hanno predisposto i corsi per i Tfa e che si troveranno ora senza candidati. Che cosa faranno?

Già un anno fa, qualcuno ci diceva che la nostra battaglia non sarebbe servita a niente, che ci avrebbero pensato i test a ridimensionare gli ampliamenti di posti ottenuti. Sembravano voci, sono diventate realtà.

Se poi consideriamo, come ultimo dato, che alla fine del lungo e costoso percorso (tre prove e un anno di tirocinio, circa 2.500 euro tra test e tirocinio pratico) non si arriva alla cattedra, ma si consegue una semplice abilitazione, ecco che trovano più che un fondamento le lettere anonime di “sfogo” dei reduci della prima prova, pubblicate su orizzontescuola.it: «Ieri ho svolto il Tfa per spagnolo. Non ho parole: ho studiato, comprato libri, fatto simulazioni. Sono anni che insegno… volevano farmi sentire una nullità? Bene ci sono riusciti», e un altro rincara la dose: «Direi che tutti noi ci sentiamo raggirati e umiliati». 

Uno Stato contro la società ha vita breve e reazioni come questa sono comprensibili e saranno sempre più diffuse: se le istituzioni del nostro Paese (Stato centrale e ministeri in testa) continueranno a prendere in giro i cittadini, perderanno ogni giorno credibilità, alimentando sempre più la sfiducia e dando spazio al grillino e al demagogo di turno.

Ecco, il Miur sembra essere riuscito ad infliggere il danno più grave: mortificare lo slancio ideale, la passione, la capacità di sacrificio di tanti giovani e meno giovani che, in un Paese dove l’insegnante non ha particolari riconoscimenti né dal punto di vista economico né da quello sociale, hanno ancora il desiderio e la tenacia di tentare questa difficile strada. Questi giovani oggi sono vessati e derisi dall’esito di test senza né capo né coda, letteralmente perversi. Un’ennesima beffa. Ministro, tra la giusta serietà e l’assurda presa in giro alla quale abbiamo assistito, c’è un abisso. Possiamo solo assistere attoniti?

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