Caro direttore,

sono con un gruppo di una cinquantina di ragazzi della Sassonia-Anhalt nelle Dolomiti per un viaggio religioso e filosofico-culturale. Del gruppo fanno parte sia ragazzi giovanissimi di dodici anni, sia ragazzi che vanno già all’università.

Quest’anno è la decima volta. Per alcuni giorni passeggiamo per i monti, cantiamo, leggiamo un autore classico (quest’anno è la volta delle Metamorfosi di Ovidio per i ragazzi più grandi e del piccolo Hobbit di Tolkien per i più giovani), preghiamo.



Prima dei quaranta minuti di silenzio durante la passeggiata, che i ragazzi osservano diligentemente, propongo un impulso su un tema religioso o una testimonianza. Quest’anno, memore di una frase di un teologo americano (Niebuhr) – non vi é nulla di più incomprensibile di una risposta ad una domanda che non è stata posta – ho invitato i ragazzi a formulare delle domande cui io e degli altri adulti avremmo cercato di rispondere.



Queste domande danno (se poste in primo luogo da ragazzi negli ultimi anni del liceo) – credo assai più di una statistica – uno sguardo reale sulla gioventù tedesca, tanto più significativo se pensiamo che una regione come la nostra è considerata come una delle più atee e secolarizzate del mondo. 

La prime domande sono state poste in una pagina di Facebook che ho creato, altre sorgono spontanee durante la passeggiate, in modo particolare dopo il silenzio di quaranta minuti.

Alcune risposte le diamo, come ho detto, durante l’impulso religioso. Altre mentre si cammina in un dialogo personale.



Ecco alcune delle domande. 1. Come è possibile conciliare un Dio onnipotente e buono con la presenza del male nel mondo. È insomma la questione della teodicea. L’ha posta un ragazzo, Christian, che è appena tornato da una gita scolastica in Giappone e in cui si è confrontato con l’esperienza drammatica di Nagasaki, che ancor più di Hiroshima è stata espressione del male come arbitrarietà pura, perché la bomba su quella città non è stata sganciata per vincere la guerra.

2. Reagendo alla mia “proposta” di Gesù Cristo come colui che non da una spiegazione primariamente teorica ma reale ed esistenziale alla questione del male, con una valenza e pretesa universale, un altro ragazzo, Florian, mi ha chiesto come mai è oggi così difficile seguire Cristo. Tutti lo negano. Tutto il mondo sembra dire esattamente il contrario di ciò che annuncia l’Amore crocifisso.

3. Max mi ha chiesto che tipo di risposta è la mia: perché dovrebbe il dolore di Cristo dare una risposta al dolore degli uomini?

4. Maximilian è arrivato subito al “caso serio”: come è possibile superare la paura della morte? E poi: cosa intendo quando dico che Cristo è il Logos in cui tutte le singolarità degli uomini vengono accettate e così salvate ora e per l’eternità.

Queste domande come anche le altre sul senso della Chiesa per credere in Dio (Robin) fanno vedere come i giovani, anche in mondo completamente secolarizzato, colgono immediatamente le questione che occupano il cuore dell’uomo, da sempre.

In un’articolo appena uscito nella Communio tedesca, la rivista internazionale teologica fondata quaranta anni fa da Hans Urs von Balthasar (1905-1988), il grande filosofo della religione francese Remi Brague parla del fallimento dell’ateismo indicando questo criterio. L’ateismo è riuscito ad offrire un mondo che è spiegabile ed organizzabile senza Dio come ipotesi di lavoro e di spiegazione della realtà, ma ciò che non è riuscito a fare, tenendo conto che pur con tutta la forza organizzativa e di ricerca scientifica vi sono minacce che pendono sull’uomo come una spada di Damocle (la distruzione ecologica, la presenza delle bombe atomiche e la pianificazione artificiale delle nascite), è di rispondere alla semplice domanda se sia cosa buona per l’uomo vivere in questo mondo. Brague dice che solo le religioni hanno una risposta a questa domanda.

Esse non sono in tutto conciliabili: alcune proposte religiose si contraddicono e non possono essere armonizzate con un progetto etico universale (Hans Küng), sebbene il dialogo tra le religioni sia importantissimo, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II e ci continua ad insegnare Benedetto XVI.

Ma la speranza ultima come cristiano, la trovo, ed anche in questo sono completamente d’accordo con Remi Brague, unicamente in quella decisione di Dio di cui parla Giovanni (1,14): l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo. Questa proposta, con l’aiuto di amici, sto offrendo ai miei ragazzi tedeschi, in questo viaggio nelle Dolomiti e durante l’anno scolastico.