Conosco abbastanza bene la scuola reale. Mi si potrebbe definire una pedagogista “sul campo”. È dal mio osservatorio quotidiano che avanzo alcune considerazioni sulla Bozza delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione.
Svolgo la professione di coordinatrice pedagogica di scuole dell’infanzia paritarie a gestione privata, con responsabilità del complessivo servizio di coordinamento pedagogico (che interessa 93 scuole infanzia) e consulenza diretta ad una quindicina di istituzioni.
Le richieste che le scuole mi rivolgono riguardano la formazione sul piano educativo e didattico; le azioni inclusive rispetto a disabili, stranieri, disagiati; la consulenza sull’organizzazione ed il governo del personale; la produzione di strumenti didattici, la documentazione.
Il lavoro di rete implica azioni di mantenimento dei contatti istituzionali con scuole di differente gestione (statale e comunale); realizzazione di percorsi di continuità; raccordo coi servizi sociali e sanitari e con gli istituti di ricerca; valutazione e promozione della qualità complessiva dell’offerta scolastica prestata.
Tutto ciò significa percorrere la scuola nel quotidiano, vedere gli insegnanti all’opera coi bambini e con le famiglie di oggi, constatare la complessità e la delicatezza del compito educativo e formativo che la scuola reale svolge quotidianamente.
Concepisco il punto di sintesi di questo lavoro nell’azione di riconoscimento: rilevare l’esistente e riconoscerlo, nel senso di coglierne ed approfondire il significato. Ciò significa dar credito a ciò che si sta già attuando nelle realtà scolastiche, per valutare la conferma di alcuni aspetti, il potenziamento di altri e le prospettive di cambiamento migliorativo.
Venendo alle Indicazioni: gli ultimi 15 anni sono stati caratterizzati da stagioni di consultazioni e riforme. Davvero una manciata di anni è poca cosa a fronte di una scuola, come quella dell’infanzia, che ha una storia più che centenaria (la prima “sala da silo” a Bologna venne aperta nel 1847; è attiva ancor oggi come scuola dell’infanzia paritaria). A pochi anni l’una dall’altra sono susseguite, fino a sovrapporsi, le riforme scolastiche che prendono nome dal ministro dell’Istruzione che le ha promulgate: i curricula di De Mauro del 2001; le Indicazioni per i Piani personalizzati di Bertagna/Moratti del 2004, le Indicazioni per il curricolo di Fioroni del 2007, oggi le omonime Indicazioni di… Già, di chi? La paternità “riservata” di un’oscura commissione tecnica, senza una dichiarata assunzione di responsabilità anche politica, tradisce un giudizio di opportunità e suscita immediata diffidenza.
Si profila, in modo schivo e poco appariscente, la bozza delle “nuove” Indicazioni, affidato ad una Circolare ministeriale ed all’ennesimo consultazione on line, nel mese di giugno (cioè di chiusura della scuola caratterizzato da tanti impegni istituzionali e didattici), consultazione “necessariamente breve” – anche se poi prorogata al 7 luglio: perché poi? Che fretta c’è? Non sarebbe più opportuno attivare un più largo dibattito e confronto sugli esiti del precedente monitoraggio maggiormente socializzati e fruibili dalle insegnanti?
In questo ultimi anni, a tumultuose e rumorose battaglie politiche sono seguite silenziose stagioni di realizzazione nelle aule scolastiche; a ripetuti monitoraggi con esisti poco divulgati (marzo 2008, dicembre 2011), la scuola ha risposto con una “sperimentazione” dentro la pratica quotidiana, poco condivisa e quindi poco conosciuta, ma a mio parer sempre rispettosa della persona del bambino e della sua appartenenza familiare.
Posso fare qualche esemplificazione dell’intenso lavoro culturale, realizzato dalla rete di scuole che coordino, in risposta alla possibilità, offerta dalle Indicazioni di Fioroni di “mettere alla prova dell’aula” le proposte avanzate. Proposta quest’ultima estremamente ragionevole, giacché essere ragionevoli vuol dire, come diceva J. Guitton, sottoporre il pensiero all’esperienza.
La libertà di sperimentazione, offerta dal cantiere di lavoro, non ha significato anarchica o improvvisazione: la cultura pedagogica della scuola dell’infanzia è troppo forte e la sua identità consolidata da uno storico patrimonio di esperienza e cultura, fondamento della sua qualità, apprezzata dalle famiglie e dal mondo intero.
Quanto è effettivamente accaduto nelle scuole è fruibile anche attraverso parecchie documentazioni segnalate nell’ultimo monitoraggio (dicembre 2011), ma che nessuna commissione tecnica si è presa la briga di richiedere e consultare. Dovendo essere sintetici, in questa sede mi limito a sottolineare che l’approccio alle Indicazioni è stato aperto e serio nel paragone con ciò che accade nella vita scolastica concreta: la preoccupazione è stata quella capire l’impianto culturale delle Indicazioni ed iniziare un paragone rispetto all’esperienza in corso, senza lasciarsi prendere da immotivate preoccupazioni di stravolgimenti o discontinuità, rispetto la pratica maturata e validata negli anni precedenti.
Proprio perché il lavoro svolto potesse essere comunicato e confrontabile, si è curata la documentazione, così che emergessero le ragioni delle scelte e la valutazione delle indicazioni ricevute e potessero essere conosciute e divulgate le migliori esperienze. Piste di lavoro privilegiate sono state: cultura, persona, ambiente di apprendimento, organizzazione del curricolo, nuova cittadinanza nella prospettiva di una configurazione di Scuola dell’infanzia che educa istruendo, basata su un’antropologia personalista. L’aspetto più interessante del lavoro è stata la disponibilità delle insegnanti alla rivisitazione critica del proprio operato. Questa a mio parere è la cifra autentica di ogni qualificazione della scuola.
La prospettiva corretta è proprio quella di rimanere sul piano dell’indicare e non del prescrivere: l’atto dell’indicare è un gesto dell’adulto che indirizza l’attenzione su qualcosa che viene ritenuto segno significante. Certo la funzione fondamentale delle Indicazioni è quella di scongiurare il rischio di frammentazione e polarizzazione del sistema nazionale di istruzione, ma è indispensabile coniugare questa esigenza con la necessità di riconoscere la pluralità dei modelli e dei diversi soggetti che oggi danno vita alla scuola dell’infanzia in Italia. Questo riconoscimento che era nelle Indicazioni di Fioroni, è andato perduto e con esso quel respiro di libertà che chiede alla legislazione di immettere ossigeno nella società civile.
Pertanto dico no alla logica “applicativa” ed esecutiva; dico sì alla possibilità di interpellare il testo ministeriale. Il verbo rimanda ad un soggetto dell’azione e alla sua responsabilità; in secondo luogo indica anche una logica non passiva ma l’esistenza di una domanda del soggetto stesso. Ora questa domanda non può che nascere dall’esperienza quotidiana vissuta dentro la scuola. È chiaro quindi che chi ha filo per tessere sarà capace di proporre qualcosa di costruttivo e di indicare a tutta la scuola che l’esercizio della libertà è realmente il valore aggiunto di cui sentiamo tutti il bisogno e di cui non possiamo più fare a meno.