Dirigenti e gestori delle scuole paritarie in fibrillazione per voci incontrollate su una pioggia di solleciti di pagamento per l’acconto Imu non versato alla scadenza dello scorso 18 giugno. Voci forse messe in giro ad arte per rinfocolare, ad aule deserte e famiglie in vacanza, la polemica sulle scuole paritarie, in particolare di ispirazione cattolica. Che non intendono pagare la nuova tassa sugli immobili, così come non viene pagata dalle scuole statali e come rassicurato dallo stesso presidente del Consiglio, Mario Monti che pubblicamente ha affermato l’esenzione dall’Imu per tutte le scuole paritarie “non a scopo di lucro”. Per chiarire ulteriormente quali siano i termini della questione e i punti giuridici si cui si basa la presa di posizione delle scuole paritarie, IlSussidiario.net ha interpellato Marco Masi, avvocato, presidente nazionale della Foe-Federazione Opere Educative.
Avvocato, il governo Monti a febbraio ha detto che devono pagare l’Imu solo le scuole con finalità commerciali. Invece ora si parla dell’arrivo di avvisi di pagamento. Cosa sta accadendo?
La confusione che si sta vivendo in questi giorni potrebbe essere causata dalla mancanza di una circolare ministeriale. Il presidente del Consiglio si era impegnato a chiarire che le paritarie riconosciute che operano senza fine di lucro avrebbero potuto usufruire dell’esenzione dall’Imu. Questo chiarimento non è ancora pervenuto; si presume avvenga con una circolare ministeriale che però a oggi a me personalmente non risulta sia stata mandata. Quindi noi chiediamo che questa circolare venga emessa al più presto, perché è giusto che Monti metta nero su bianco quanto ha promesso in Parlamento, e non si limiti a dirlo.
Perché non sembra chiara la differenza tra una scuola che ha finalità commerciali e una che ha finalità non profit?
Qualcuno fa finta che non sia chiara, mentre è chiarissima tanto che al ministero dell’Istruzione da cinque anni le scuole paritarie sono divise tra scuole paritarie senza scopo di lucro e scuole paritarie con scopo di lucro. Infatti, la Finanziaria del 2007, basandosi sulla legge 296 del 2006, ha previsto questa distinzione e il ministero da allora l’ha messa in pratica nell’anagrafe delle scuole paritarie. Questo dato è noto, è ufficiale, è formale: non c’è neanche bisogno che lo ribadisca il ministero dell’Economia.
Dunque c’è qualcuno che fa finta di non capire…
Il ministero dell’Economia deve dettare una disposizione che interpreti la legge Imu nel senso delle parole provenienti da Monti in Parlamento per evitare che i singoli Comuni, le singole amministrazioni o i singoli giudici possano interpretare quell’inciso sulle modalità non commerciali in un modo uno diverso dall’altro. Per prevenire che succeda, questo va chiarito in modo esplicito.
Non potrebbe essere che il governo abbia timore di certe prese di posizione ideologiche a cui abbiamo assistito nei mesi passati e pertanto preferisca tenere la questione nell’ombra?
Penso di no: la circolare 2 del 2009 lo chiariva già con riferimento all’Ici. Il presidente Monti in persona è andato in Parlamento a chiarire la portata della norma Imu ed è un caso raro che il presidente interpreti una norma davanti al Parlamento in modo così tecnico e dettagliato come ha fatto Monti in rapporto alle scuole paritarie. Non ho motivo di dubitare della sua buona volontà. Direi che sia un problema di tempi, che genera un’indecisione in tanti soggetti e alimentare richieste di pagamenti inesistenti.
Per il fisco le scuole paritarie non possono essere paragonate ai luoghi di culto per cui è prevista l’esenzione dall’Imu. È corretto?
È così da vent’anni nella normativa dell’Ici, non c’è niente da dire: una cosa è un luogo di culto, una cosa è un luogo destinato al servizio pubblico. Quello che noi chiediamo è che essendo le scuole paritarie senza scopo di lucro un servizio pubblico, questo venga riconosciuto in norma e non solo a parole.
Il presidente dell’Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) Gontero ha chiesto anche che la retta di iscrizione possa essere detratta. È una richiesta giusta e soprattutto fattibile in questo momento di crisi?
Assolutamente sì. Noi chiediamo che la retta scolastica che le famiglie pagano possa essere inserita nelle spese detraibili dall’imposta. Da studi di fattibilità l’incidenza economica di questa minore entrata per lo Stato sarebbe modestissima a fronte di un’agevolazione che aiuti le famiglie a scegliere liberamente la scuola, in particolare quelle che hanno più difficoltà economiche e che quindi ora si vedono negare il diritto alla libertà d’educazione. Un’ingiustizia tutta italiana per cui uno paga la scuola due volte: con le imposte e con la retta.
(Paolo Vites)