C’è un regolamento controverso, quello che porta la firma del ministro Profumo e la data del 7 giugno scorso. E c’è il ricorso dell’Associazione costituzionalisti italiani (Aic). Il Regolamento contiene “criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, nonché le modalità di accertamento della qualificazione dei Commissari”. In pratica, il “come” si abilitano e si assumono i nuovi docenti universitari. 



I costituzionalisti non ci stanno: l’allegato B, quello che valuta le pubblicazioni scientifiche classificandole in tre fasce, A, B e C, estende la classificazione del lavoro scientifico dei candidati ai 10 anni che precedono il Regolamento. Possibile? Il perché è semplice. L’Anvur, l’agenzia ministeriale per la valutazione del sistema universitario, intende adeguare la nostra università a parametri di qualità centralizzati che all’estero vigono da anni. La realtà delle baronie e dei criteri familistici, infatti, è nota, ed è uno dei mali che affliggono l’università italiana. Valutare, dunque, bisogna. E bisogna farlo nel modo più “oggettivo” possibile. Ma su questo aggettivo si potrebbero scrivere enciclopedie, perché di oggettività – che nel mondo della misurazione accademica si alimenta di termini come impact factor e indice di Hirsch – si parla in molti modi, a seconda che si parli di studi umanistici o scientifici. Di tutto questo si può discutere, dice Valerio Onida, presidente dei Costituzionalisti italiani, ma sulla retroattività proprio no. Non si possono assoggettare dieci anni di lavoro a criteri di valutazione formulati dopo. E così, c’è un ricorso che giace sul tavolo del Tar per dichiarare incostituzionale, sul punto, il Regolamento per valutare gli aspiranti prof universitari. “Come può una classificazione essere fatta adesso ed estendersi ai dieci anni precedenti?” dice Onida a IlSussidiario.net



E dove sta l’incostituzionalità, professore?

Precisamente in questa retroattività, perché si lede il principio di tutela dell’affidamento. Il cittadino deve potersi fidare dello stato di diritto e nutre una legittima aspettativa a che le regole non vengano cambiate arbitrariamente. Possono gli studiosi aver operato e scritto sulla base di una normativa e di conseguenza di una classificazione delle riviste scientifiche non esistente? A quanto pare, si vuole questo. Si dice loro: “Non lo sapevate, ma i vostri passati lavori appartengono a riviste A, B o C”. 

Valutare non si deve?



Certamente si deve valutare. È giusto arrivare ad una classificazione di merito scientifico del lavoro dei docenti, ma non cambiando le carte in tavola, a posteriori. Si sarebbe dovuto dire: vi avvertiamo che dal tale momento in poi le vostre pubblicazioni saranno considerate di classe A o B o come le si voglia chiamare. In tal caso uno sa come regolarsi. Ma non si possono valutare secondo criteri appena introdotti le pubblicazioni pregresse. Questa è l’incostituzionalità grave che abbiamo rilevato.

Grave perché lede il principio di uguaglianza? 

Di uguaglianza, ragionevolezza e affidamento. La Corte costituzionale è particolarmente severa nel controllare le scelte del legislatore quando operano retroattivamente. Consideriamo poi che non abbiamo a che fare con una legge, ma con un comune decreto ministeriale.

Che cosa chiedete al ministro Profumo?

Auspichiamo che si giunga alla soppressione di quel punto dell’allegato B al Regolamento contenente la retroattività. Non abbiamo alcuna intenzione di bloccare le abilitazioni nazionali, che anzi prima vengono fatte, meglio è.

Altre associazioni di giuristi faranno ricorso?

Ho già ricevuto qualche segnale di forte interesse, e credo che anche altri si aggiungeranno all’iniziativa dell’Aic. 

Al di là di questo aspetto del Regolamento contro il quale avete fatto ricorso, cosa ne pensa complessivamente della legge Gelmini di riforma dell’università e dei regolamenti attuativi?

Ho sempre consiederato e continuo a considerare una cosa positiva l’istituzione di una abilitazione nazionale. Ben venga quindi una procedura che se ne fa carico, da attuare rapidamente perché l’università italiana ne ha grande e urgente bisogno. Personalmente, credo che forse sarebbe stato meglio fare un reclutamento a numero chiuso piuttosto che a numero aperto. Ma sulla necessità non si discute, a patto che sia fatta in condizioni legittime. 

Le sue riserve?

Diciamo che l’applicazione di queste norme, sia quelle buone che quelle discutibili, è caduta purtroppo in una contingenza temporale sfavorevole a motivo delle scarse risorse disponibili. Su questo non so cosa si possa fare. Invece, il tentativo di ridurre la discrezionalità delle commissioni di concorso lascia perplessi. 

Perché?

Perché la commissione di concorso è la valutazione dei pari, che rispecchia quella della comunità scientifica. Come si può affidare ad altri che non sia la comunità scientifica la valutazione dei nuovi docenti? È auspicabile che questa selezione avvenga con criteri oggettivi e sani e non clientelari; però non si può trasformare la loro ammissibilità in una sorta di meccanismo burocratico amministrativo governato da numeri o da organismi, diciamo così, non scientifici.

Si riferisce all’Anvur?

Da questo punto di vista qualche perplessità l’Anvur la suscita, perché è un organismo di tipo tecnico amministrativo la cui formazione è rimessa interamente al ministro dell’Istruzione, che si avvale certamente di esperti della valutazione, ma scelti con procedure non trasparenti. Chi ha scelto di mettervi certe persone e non altre? Con quali criteri? Passare a un dispositivo nel quale la selezione dei nuovi docenti viene ultimamente regolata da un organismo tecnico amministrativo di nomina ministeriale, è un elemento che, francamente, ritengo preoccupante.

(Federico Ferraù)