Dopo un decennio di progressivo e costante aumento degli alunni iscritti alle scuole paritarie (giunti nel 2009/10 a 1.074.205, pari all’11,98% del totale nazionale), la crisi ha iniziato a generare, a quanto pare, una inesorabile inversione di tendenza. 

Se i dati relativi all’anno scolastico 2010/11, infatti, avevano mostrato per la prima volta un modesto calo delle iscrizioni nazionali (meno 2.500 iscritti, fonte anagrafe Miur), che tuttavia avrebbe potuto essere una flessione puramente occasionale e irrilevante, quelli relativi all’anno scolastico 2011/12 mostrano una diminuzione ben più significativa (meno 30mila iscritti, di cui circa 20mila solo nelle scuole superiori, fonte Miur) e pertanto documentano senza ombra di dubbio che le famiglie, sempre più in difficoltà a causa della crisi, hanno iniziato davvero a tirare la cinghia e a eliminare voci di spesa ritenute evitabili.



E fra queste, purtroppo, compare anche la voce “istruzione libera”. Del resto, in tempi come questi,  l’offerta di servizi di istruzione gratuiti o quasi, come sono quelli statali (per quanto, spesso, più scadenti), rappresenta un’alternativa che solo le famiglie davvero certe dell’importanza della proposta formativa fatta dalle scuole paritarie e del valore della libertà di scelta educativa sono disposte a non prendere in considerazione.



Ora ci chiediamo: a chi giova questo sensibile calo delle iscrizioni nelle paritarie? 

Non certo alle famiglie, che sono costrette obtorto collo ad affidare l’istruzione/educazione dei propri figli a istituti scolastici che diversamente non avrebbero scelto; certamente non alla società civile, che assiste impotente alla progressiva sparizione di istituzioni educative “nate dal basso” (talvolta di antica tradizione) che chiudono per carenza di iscritti e assenza di adeguati finanziamenti statali; assolutamente non allo Stato, che per ogni alunno che si trasferisce dalla scuola paritaria a quella statale è costretto a spendere (nella migliore delle ipotesi) dieci volte tanto…



Saranno contenti, probabilmente, solo gli abituali accaniti avversari della scuola non statale, che continuano a considerare un attentato alla democrazia ogni espressione di educazione che non venga dallo Stato, incuranti persino dell’enorme danno economico che la chiusura delle scuole paritarie comporta per il nostro Paese.

Avversari che vivono ormai fuori dal tempo, come hanno dimostrato anche i recenti incontri delle associazioni di scuole paritarie con i rappresentati politici dei partiti che sostengono l’attuale governo tecnico. In tali incontri, è stato riconosciuto con chiarezza e fermezza dai diversi leader politici che le scuole paritarie fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale di istruzione, svolgono a tutti gli effetti (e pure con merito) un servizio pubblico e per questa ragione è assurdo continuare a discriminarle e danneggiarle economicamente. 

È stato ribadito, inoltre, il  diritto delle famiglie e degli studenti di scegliere in piena libertà, e senza aggravi di spesa, il percorso scolastico desiderato, sia che questo si realizzi presso una scuola statale sia presso una scuola paritaria  e che per questo occorrono efficaci forme di sostegno economico alle scuole paritarie e alle famiglie, per consentire l’effettivo esercizio di questo diritto. 

Considerato che per il prossimo anno è previsto un taglio del 50% del fondo storico destinato alle scuole paritarie (530 milioni di euro), che mette a rischio il proseguimento delle attività della maggior parte delle strutture, causando problemi alle famiglie e alle migliaia di persone che vi lavorano a vario titolo, è opportuno che a dichiarazioni  così chiare e inequivocabili facciano seguito decisioni altrettanto chiare e coerenti e che almeno i 260 milioni mancanti − in precedenza previsti all’interno del capitolo di spesa della scuola paritaria − possano essere tempestivamente recuperati.

Un recupero urgente, motivato anche da ragioni di lungimiranza economica. Se consideriamo, per esempio, il calo delle iscrizioni alle paritarie verificatosi  nelle scuole secondarie di secondo grado, e che per ogni studente di scuola paritaria superiore lo Stato spende 44 euro all’anno, mentre per uno studente di scuola superiore statale circa 8mila euro, diventa immediatamente evidente l’utilità di un sostegno alle scuole non statali: se i 20mila studenti di scuola superiore non più iscritti alle scuole paritarie, infatti, sono passati tutti alle statali, ciò ha comportato un aggravio di costi per le finanze pubbliche pari a 159milioni di euro. Vogliamo continuare a farci del male incentivando il passaggio?

Se è vero che l’attuale Governo Monti si sta ispirando ad una visione pragmatica piuttosto che ideologica, tentando di ribaltare schemi ingessati e di rompere finalmente privilegi corporativi inamovibili, in nome dello stesso pragmatismo sarebbe opportuno prendere decisioni ragionevoli anche a sostegno della scuola paritaria. Così facendo, si otterrebbero diversi risultati: si garantirebbe un diritto costituzionale, che è quello della libertà di scelta educativa; si favorirebbe la promozione culturale del Paese e il consolidamento di un sistema di istruzione autonomo e integrato; si realizzerebbe − scusate se è poco − un enorme risparmio per le casse dello Stato, allineando l’Italia a quanto già accade in tanti altri paesi dell’Europa, dove la parità scolastica e, quindi, il finanziamento pubblico, è un dato acquisito da molti decenni. Un po’ di coraggio, per un enorme guadagno.

 

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