È un sondaggio il metodo giusto per conoscere un oggetto di cui si parla? L’esperienza mi dice il contrario: la pseudo oggettività di informazioni di un sondaggio possono essere piegate a seconda di ciò che vuole dire il ricercatore. La cosa si aggrava quando abbiamo a che fare con la presentazione giornalistica del sondaggio stesso, in cui i criteri scientifici di valutazione, già per una ragione di tempo, non possono essere presi realmente sul serio.
La presentazione italiana della ricerca del prof. Klaus Schröder della “Freie Universität” di Berlino (cfr. Paolo Lepri, www.corriere.it, “Hitler? Un protettore dei diritti umani”, 29 giugno u.s.), oggetto di riflessione anche qui da noi in Germania, su ciò che gli scolari tedeschi sanno o non sanno sulle dittature nel loro Paese (Germania nazionalsocialista: Hitler; e comunista: Ulbricht, Honecker) non corrisponde alla mia esperienza come insegnante in un liceo nella Sassonia-Anhalt (a partire dal 2002). Ovviamente si può obbiettare che la mia esperienza particolare non può essere presa come giudizio di paragone nei confronti di un sondaggio a livello nazionale. Credo però che la verità si lasci intravedere di più con una reale attenzione al “tutto nel frammento” che ad un “tutto”, che nella sua astrazione, dà solamente l’apparenza di un’oggettività e che può essere facilmente manipolabile per i proprio interessi o per le proprie paure.
Interessante è il modo con cui nel Corriere viene riassunto il risultato del sondaggio: “Hitler? Un protettore di diritti umani”. Mentre nel sondaggio e nella ricerca del professore di Berlino, come si può vedere nella presentazione del proprio lavoro con il prof. Manfred Wilke (“Der Forschungsverbund SED-Staat an der Freien Universität Berlin”, www.ahf-muenchen.de/Forschungsberichte/), il passato del SED-Stato della DDR (abbreviazione tedesca della Germania democratica tedesca) è maggiormente al centro dell’attenzione rispetto al passato nazionalsocialista della Germania, nell’articolo si riferisce solamente la questione hitleriana. Insomma la scelta dell’autore mi fa comprendere che in Italia ci sia più interesse per questo sapere/non sapere della gioventù tedesca su Hitler che non per il passato della Germania comunista. Questo è secondo me un modo irresponsabile per alimentare le paure, che forse ci sono in Italia, di una Germania forte economicamente. Ma questo è un altro aspetto del problema.
Ritorniamo alla gioventù studentesca tedesca di oggi, che vorrei guardare con il metodo prima accennato: uno sguardo attento al “tutto nel frammento”. Sia nell’insegnamento di storia, sia con visite nei campi di concentramento nella propria regione (qui da noi a Buchenwald-Weimar nella decima classe, in cui ragazzi hanno circa 16 anni) gli studenti vengono educati ad una memoria del passato nazionalsocialista. E visto che a Buchenwald vi è una sezione dedicata a come il campo di concentramento è stato usato dagli occupanti russi comunisti dopo la seconda guerra mondiale, la visita diventa anche memoria del periodo iniziale della dittatura comunista.
A Lipsia per esempio, per quanto riguarda la memoria del passato comunista nella DDR, esiste un “Zeitgeschichtliches Forum” (un museo di storia contemporanea, che si può visitare senza pagare), visitato regolarmente dagli studenti della regione, in cui la dittatura della Germania comunista viene presentata in rapporto alla storia della Germania federale tedesca. Quindi ciò che il prof. Schröder vuole, e cioè un’azione educativa per non dimenticare il passato, è già attuato in Germania.
Rimane però la questione innegabile di una mancanza diffusa d’interesse nella gioventù per temi politici e storici, sebbene ovviamente si dovrebbe chiarire più precisamente di quale gioventù si parli (il tipo scuola e l’età), per approfondirlo in tutti i suoi aspetti: il che ovviamente non è possibile in queste righe. Il vero problema, che però può essere anche una sfida, è che la gioventù vive nell’ora, nell’attualità, e che è sensibile più per messaggi estetici come quelli di Bench, Billabong, Jack&Jones, Nike, Vans… piuttosto che per messaggi storico-morali, soprattutto se vengono presentati in modo moralistico.
Quello che vedo come un reale problema, in modo particolare nei giovani dei nuovi Länder (le regioni che sono state integrate nella Germania federale tedesca dopo la caduta del Muro) è che essi sono stati educati, già dal primo anno di vita, a vivere con ragazzi della loro età (in asili nidi prima e poi in asili), e che per questo hanno difficoltà a vivere ciò che Luigi Giussani chiama il “rischio educativo”, che è la proposta di ricerca della verità fatta con autorità (ma non in modo autoritario) da parte di un adulto, per essere poi verificata dal giovane in un cammino comune. Gli adulti che questi giovani hanno incontrato alla nascita (entrambi i genitori o uno dei due genitori già coinvolto in un ‘altra storia affettiva) hanno delegato ad altri il rischio educativo, e quelli che hanno assunto nelle istituzioni, come nidi ed asili, e poi nella scuola il compito educativo normalmente non li hanno educati alla verità, ma in forza di una ideologia secolare e irreligiosa.
Ora proprio questo è il vero nocciolo del problema, che un grande filosofo come Augusto Del Noce aveva già visto negli anni sessanta e che di recente ha evocato in un suo commento Massimo Borghesi: l’educazione ricevuta nelle dittature ideologiche del XX secolo e quella tipica della società opulenta post-dittatoriale hanno in comune un disinteresse ultimo per la verità storica ed assoluta e conducono a ciò che si può chiamare irreligiosità dell’uomo postmoderno; che nella regione in cui vivo è la più intensa di tutto il mondo anche oggi, a più di venti anni dalla caduta del Muro (cfr. “Warum so wenige Ostdeutsche an einen Gott glauben?” − “Perché così pochi tedeschi dell’est credono in Dio?”, Welt-Online, 19 aprile 2012).
Ma non vorrei finire queste righe con un’analisi: senza speranza, senza il senso per la bellezza non può vivere nessuno e forse, invece che criticare i giovani per la loro dipendenza dell’estetica della società opulenta, si dovrebbe partire da questo bisogno di bellezza per invitarli ad una bellezza più grande.