Non conosciamo ancora tutti i dettagli del piano di tagli che il Governo ha messo a punto e il cui varo è stato annunciato ufficialmente nella giornata di ieri, ma ci auguriamo proprio che non sia stato fatto “con l’ascia”. La spending review comporterà  – come se non bastassero già gli attuali sacrifici – lacrime e sangue per tanti cittadini, e non davvero sarebbe opportuno intervenire in modo indiscriminato e inefficace con i famigerati tagli orizzontali già sperimentati più volte nel recente passato. 



La spending review è un provvedimento destinato inevitabilmente ad esasperare le tensioni sociali –e i sindacati infatti sono già sul piede di guerra – dato che nessuno ama rinunciare a diritti o assetti che paiono ormai acquisiti e immutabili (se non in senso migliorativo…). Ma proprio perché lo scotto di una accresciuta tensione sociale pare assodato, risulta ancora più ingiustificabile ed esecrabile la modalità con cui alcuni organi di informazione hanno presentato i tagli nel settore dell’istruzione, parlando in modo assolutamente generico – e dunque volutamente ambiguo – di tagli alle università e di aumenti ai privati. 



Lo spettatore “medio”, quello che è abituato ad assumere le informazioni dai “Tiggì” senza avere tempo – o voglia – di andare ad approfondire quanto ascoltato, cosa avrà capito? Beh, probabilmente quello che anche chi scrive ha percepito in filigrana: “la cultura e l’istruzione pubblica sono sempre l’ultima ruota del carro, si salvano solo quei privati, forse proprio le famigerate scuole private, che il governo dei sedicenti tecnici ha deciso di tutelare perché legati a centri di potere occulto. Magari al Vaticano … Ecco, sì, le scuole cattoliche!”.

Come stanno davvero le cose, a quanto ammontano e come saranno distribuiti i tagli all’istruzione? Come già accennato in apertura, non lo sappiamo ancora. Una cosa però è certa: non è così che si fa informazione. Così si favorisce solo lo scontro sociale e si alimenta quella cultura del sospetto che tanto male ha fatto e sta facendo al nostro Paese. 



E se proprio si vuole tentare di entrare nel merito, occorre ricordare a tutti – a cominciare dai giornalisti televisivi – che poiché non si vogliono tagli orizzontali ma chirurgici (se proprio ci devono essere), sarebbe non sono inutile ma addirittura dannoso andare a ridurre ulteriormente i fondi alle scuole paritarie, dato che garantiscono al Paese un risparmio annuo che si aggira intorno ai 6 miliardi di euro. Ogni scuola paritaria in meno, costretta a chiudere per mancanza di risorse, si tradurrebbe in un danno economico (oltre che culturale, sociale e educativo) enorme per lo Stato, poiché gli alunni dovrebbero trasferirsi presso le scuole statali, con costi per la pubblica amministrazione dieci volte superiori. Esattamente il risultato opposto a quello prefigurato dalla spending review.

Forse, una volta tanto, non sarebbe male se i tagli prendessero in considerazione anche il settore dell’informazione, andando a ridurre lo stipendio (tagliare la lingua non si può…) a quei giornalisti che usano del potere che hanno, parlando di fronte a milioni di ascoltatori “inermi”, per seminare disinformazione e discordia. A conti fatti, probabilmente il risparmio sarebbe altissimo.

 

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