“Nativi digitali ed emergenza educativa”, tema e titolo dell’ultima ricerca del Censis, che viene presentata mercoledì 4 luglio a Roma, nella Sala della Mercede della Camera dei Deputati. Promossa dalla Regione Calabria, la ricerca si basa sull’ampia indagine che, coinvolgendo 2.300 studenti delle scuole medie e superiori calabresi e 1.800 genitori, l’istituto di ricerca ha svolto sul rapporto tra giovani, nuove tecnologie e mondo degli adulti. Social network, smartphone e internet investono ormai tutti i processi di apprendimento e di istruzione, facendo registrare importanti ripercussioni sui comportamenti adottati dai più giovani nel contatto e nell’utilizzo delle tecnologie digitali. Al convegno, al quale interviene anche il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, partecipa anche Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza di Roma, che ha anticipato a ilSussidiario.net i risultati della ricerca.
Professore, cosa ha messo in risalto questa ricerca?
L’indagine del Censis conferma innanzitutto che anche il mondo calabrese, per quanto riguarda l’utilizzo di tecnologie, nei valori tendenziali rivela una vicinanza con i dati dell’Italia più sviluppata dal punto di vista socio-culturale. Questo è certamente il dato più importante da cui partire, che mostra quanto il “digital divide” non sia superiore a quello di altre regioni italiane e che la frequenza dell’uso di internet, anche nelle scuole, è tutto sommato compatibile con i livelli standard della società italiana.
Quanto sotto questo aspetto il mondo dei giovani è distante da quello degli adulti?
Riguardo a ciò abbiamo evidenziato diverse dimensioni fondamentali che emergono dai dati, in particolare sul dialogo tra giovani e adulti, con la scuola che assume invece una funzione di mediazione. Emerge che, a livello di opinione, il mondo degli adulti riesce ancora a parlare con quello dei giovani, nonostante spesso sembri molto più distante. A livello della pratica, però, i numeri mostrano una profonda diversità: la giornata di un ragazzo è saturata con percentuali interessanti di tecnologie mentre l’adulto sembra che quasi “invidi” questa competenza delle giovani generazioni. La scuola ha quindi un ruolo fondamentale in questa mediazione perché capace di offrire risposte ai ragazzi ma anche ai genitori che talvolta non sanno come rendere più significativo l’utilizzo delle tecnologie da parte dei giovani.
La scuola soddisfa questo compito?
Bisogna dire che in questo la scuola fa ancora fatica. I dati che emergono non sono drammaticamente distanti dalla media nazionale, ma in generale la scuola italiana mostra diverse criticità sul terreno specifico delle tecnologie. Per esempio, l’utilizzo che si fa a scuola di internet nelle materie umanistiche è praticamente nullo e questo nel lungo periodo può rappresentare un problema. C’è poi tutta la questione delle regole. Le percentuali evidenziano quanto molte famiglie provino a costruire un dialogo fatto di normativizzazione del rapporto tra ragazzi e tecnologie. Questo non è però così semplice, sia perché i ragazzi riescono ad aggirare facilmente ogni vincolo, sia per motivi di “conoscenza”, nel senso che i genitori non hanno esatta contezza di che cosa facciano i ragazzi con le tecnologie.
Come si comportano invece gli insegnanti?
Gli insegnanti mostrano spesso delle resistenze culturali nei confronti del fatto che un pieno e virtuoso utilizzo delle tecnologie porti con sé un riassetto dei ruoli della mediazione. Il docente sembra quasi spaventato dal fatto che i ragazzi possano essere più bravi di lui con le competenze tecnologiche. L’insegnante non dovrebbe assolutamente spaventarsi di questo perché le competenze tecnologiche dei giovani portano i loro frutti solamente se c’è un adulto significativo che ricuce e fornisce quelli che abbiamo chiamato “link mancanti”, vale a dire tutto ciò che non c’è nel contenuto delle tecnologie. In questo un adulto può fare molto e probabilmente la scuola dovrebbe fare molto di più.
Nella ricerca si parla di emergenze educative. Qual è quella più allarmante?
Senza dubbio quella che può portare alla creazione di una frattura faticosa sia dal punto di vista pratico ma soprattutto simbolico tra le attività che il ragazzo svolge a scuola e quelle che invece svolge durante tutto il resto della giornata. Non sempre l’utilizzo della tecnologia si traduce in un utilizzo virtuoso ma comunque la tecnologia esiste e nella scuola invece manca. Il giovane vive quindi in una sorta di “doppio mondo” ma ritengo inconcepibile che nel luogo in cui uno studente apprende gli strumenti anche per essere un cittadino ci sia un contatto così limitato con le tecnologie. Questo crea inoltre un’altra emergenza educativa: se non c’è un adulto significativo che accompagna nell’utilizzo alla tecnologia il giovane, quest’ultimo farà da solo, con tutti i rischi che ne conseguono.
(Claudio Perlini)