Quello dell’avviso di pagamento della prima rata Imu ricevuto da alcune scuole paritarie è ormai un caso. Infatti era stato lo stesso capo del Governo Mario Monti, nel febbraio scorso, a dire che le scuole paritarie che operano senza fine di lucro (quelle scuole, nelle parole del premier, che non svolgono attività commerciale) sarebbero state esentate dalla temuta imposta municipale unica. Le parole di Monti chiusero momentanemente un’aspra polemica, il problema però si è riproposto quando inaspettatamente alcune scuole paritarie hanno ricevuto l’avviso di pagamento. Occorre infatti una circolare che stabilisca una volta per tutte l’esenzione, mettendo i comuni in condizione di non esercitare la discrezionalità di cui si sono avvalsi quando hanno spedito le cartelle.



“Auspichiamo che la risposta del governo arrivi nel più breve tempo possibile” dice a IlSussidiario.net Gabriele Toccafondi (Pdl), che ieri ha presentato una interrogazione, sottoscritta da una quarantina di deputati del suo partito, per far luce sul problema. “Vogliamo credere che ora qualcosa si stia muovendo e che gli uffici siano al lavoro. Chi gestisce una scuola paritaria senza fine di lucro deve poter avere l’esenzione, come è stato fino ad ora, compatibilmente con quello che ci chiede una sentenza europea del 2008 sull’Ici. La risposta che abbiamo ricevuto – la quale sul punto, occorre dirlo, non è chiarissima – va però in questa direzione. Si tratta di aspettare la circolare intepretativa prevista e vogliamo essere ottimisti”. E i tempi? “L’articolo 91 bis del dl liberalizzazizoni parlava di gennaio 2013 come termine definitivo di chiarimento; ma tutto deve avvenire molto prima, per non dare il via ad una pericolosa serie di contenziosi. Lasciando le cose in mano ai giudici”.



Il tema dell’esenzione è complesso e con Toccafondi parliamo delle origini di questa anomalia, che ha scatenato contro le scuole paritarie le proteste più veementi di una parte del mondo laico, quello che nel febbraio scorso accusò subito Monti di favorire “le scuole dei preti”. 

“Dal lontano 1992, anno in cui il governo Amato creò l’Ici, fino ad oggi ci sono state varie interpretazioni sulle esenzioni” spiega Toccafondi. “La situazione di allora, pure nelle differenze, ricorda quella attuale. La crisi era forte, il debito pubblico altissimo, si varò un governo istituzionale, guidato da Giuliano Amato. Che inventò l’Ici. Nel ’92 si stabilì che doveva pagare e chi non doveva pagare l’imposta, perché non tutti gli immobili sono uguali. Si stabilì che le Onlus non dovevano pagare l’imposta perché offrono un servizio rivolto a tutti; allo stesso modo, non dovevano pagarla le scuole pubbliche, né i musei. Senza entrare nel merito delle tecnicalità, basti ricordare che negli anni si moltipolicarono le richieste di chiarimento sull’interpretazione della norma a causa delle anomalie che nascevano nell’applicazione. Arriviamo così al 2008, quando una sentenza europea sulle esenzioni chiede all’Italia di sanare alcune disparità di trattamento. Siamo al gennaio 2009, qundo in una circolare intepretativa entra il concetto di attività commerciale prevalente: laddove nell’immobile l’attività commerciale non è prevalente vale sempre l’esenzione”.



Era naturale che su quel termine, “prevalente”, si aprissero ulterio contenziosi. “Infatti; è andata esattamente così. Sta di fatto che arriviamo al governo Monti. Nel dicembre 2011 l’esecutivo rimette l’Ici − ora Imu −  sulla prima casa sulla base delle vecchie norme del ’92, ma aumentata con la revisione catastale delle abitazioni, e sulle seconde case. Mentre la sentenza europea rimane là a ricordarci di sciogliere il nodo delle esenzioni, nel decreto liberalizzazioni viene inserito un articolo, il 91 bis, col quale si stabilisce che le esenzioni vengono tolte in presenza di attività commerciale”.

Fine dei problemi? Tutt’altro. Perché ancora una volta, e siamo a questi giorni, qualcosa non funziona. Che cos’è infatti l’attività commerciale? Una scuola paritaria ha dietro di sé un ente gestore, per esempio una cooperativa sociale, che in quanto tale è iscritta alla Camera di Commercio. Basta questo per dire che l’attività ha fini commerciali? Il servizio erogato non è commerciale, perché la missione educativa non ha fine di lucro. Svolge una attività di pubblica utilità esattamente come lo fa una scuola statale, che per la legge sulla parità voluta nel 2000 dall’allora ministro Berlinguer è equiparata a quella paritaria nell’ambito del medesimo servizio nazionale di istruzione. 

“Quella legge non stabilisce la parità economica” spiega Toccafondi “però stabilisce quella giuridica. Le scuole sono tutte pubbliche, divise tra statali e non statali e questo dovrebbe bastare a chi sostiene che le paritarie lucrano perché offrono un servizio dietro il pagamento di una retta. È una obiezione ideologica che non tiene conto della realtà”. 

Urge un chiarimento, spiega il deputato del Pdl, “perché una scuola di 4mila metri quadri un una delle nostre città medio-grandi rischia di pagare anche 50-60mila euro l’anno di Imu. Potrebbero anche voler dire mille euro a retta; cioè ritrovarsi in ginocchio, senza iscrizioni e quindi a rischio chiusura. E così, in questo momento di confusione normativa, qualche comune ha chiesto a qualche scuola di pagare l’imposta. Da qui nasce la nostra richiesta di chiarezza. Perché quando in febbraio Monti andò in Senato a dire che le scuole paritarie sono un bene del Paese, impegnandosi a chiarire che le paritarie riconosciute che operano senza fine di lucroavrebbero ottenuto l’esenzione, un emendamento, accolto, mise nero su bianco che entro 60 giorni dall’approvazione della legge sarebbe arrivato una circolare interpretativa del ministero dell’Economia per chiarire il punto. La circolare ancora non c’è”. Col risultato che molti comuni, in assenza di qualcosa di scritto, non hanno esitato un attimo: care scuole, dovete pagare. 

Leggi anche

ICI-IMU/ Non solo la Chiesa: ecco perché chi fa solidarietà e assistenza dev’essere esentatoIMU E CHIESA/ Perché la Ue odia il patto (virtuoso) tra Stato e non profit?IMU E CHIESA/ Radicali e Corte di giustizia, i "talebani" che vogliono chiudere il non profit