È giunta al termine, il 30 giugno, la consultazione sulla bozza delle Indicazioni per il primo ciclo dell’istruzione. Al tempo delle Indicazioni per i licei le reazioni furono raccolte in un forum dal quale era possibile seguire il dibattito e farsi un’idea diretta dei commenti degli insegnanti e degli esperti. Su queste Indicazioni invece è stato predisposto un questionario, il che rende più ordinata ma probabilmente anche più prevedibile la raccolta dei pareri. Personalmente ho apprezzato, rispetto alla versione del 2007, una serie di snellimenti anche solo linguistici o di impaginazione, che rendono il testo più agile e leggibile.



Non so se qualcuno abbia proposto a chi rivedrà la bozza di approfittare dell’occasione per chiarire un punto cruciale e urgente per la scuola italiana: collegare fra loro due punti di vista, quello “dell’offerta” (che fa capo alle programmazioni, alle proposte di curricolo verticale ecc.), attraverso la descrizione dei percorsi scolastici in termini di attività, priorità, traguardi, e quello degli “esiti” (che fa capo alle competenze chiave, ai profili in uscita, ai livelli delle misurazioni internazionali), attraverso la definizione del punto a cui bisogna arrivare in termini di competenze certificabili.



Il problema delle competenze non è nominalistico bensì pratico: non va dimenticato che nel primo ciclo vi sono quattro misurazioni standardizzate di italiano e matematica, una delle quali inserita nell’esame di stato (Prova nazionale). I Quadri di riferimento di queste prove descrivono analiticamente le competenze testate, i loro sotto-ambiti, i processi, ed esemplificano le operazioni connesse, innanzitutto come guida per la produzione delle prove, ma anche come punto di riferimento per gli insegnanti. Per la matematica, come scrive Rossella Garuti in queste colonne, “documenti diversi come struttura e come finalità cominciano a parlarsi fra loro”, cioè “queste Indicazioni per il curricolo e il Quadro di riferimento per la matematica Snv-Invalsi”, invece per italiano non si può dire lo stesso.



Mentre il Quadro di riferimento dà una descrizione attendibile della “comprensione del testo”, molto più vaga, nella bozza delle Indicazioni, è la descrizione della lettura come una delle quattro “abilità” tradizionali, con l’enumerazione delle diverse attività che in quest’ambito vengono svolte. Colpisce che nella bozza vengano solo nominati i “processi cognitivi” coinvolti nella lettura, lasciando all’insegnante di aggiornarsi in materia. Nel Quadro di riferimento sono descritti ed esemplificati i sette ambiti, fra i quali individuare informazioni anche espresse da sinonimi o perifrasi, utilizzare i segnali di coesione, compiere inferenze, integrare informazioni distanti e comprendere la gerarchia logica delle idee in un testo. Per fortuna è stata salvata dal testo del 2007 un’importante osservazione, là dove si dice che è necessario rimuovere “ostacoli alla comprensione dei testi che possono annidarsi a livello lessicale o sintattico oppure al livello della strutturazione logico-concettuale”, recuperando esplicitamente le sotto-dimensioni morfosintattica, lessicale-semantica e logico-argomentativa del testo.

Nella parte relativa alla scrittura purtroppo è stato cancellato il parallelo riferimento, presente nella versione 2007: “gli allievi devono imparare progressivamente a controllare gli elementi sintattici e quelli relativi all’organizzazione logico-concettuale del testo”. Servirebbero indicazioni sulle proprietà specifiche della competenza di scrittura, ma nuovamente l’argomento è trattato nei termini di una delle quattro “abilità”, con descrizione di varie attività, e non in termini di competenza (per esempio avere idea della scansione in paragrafi e dell’architettura logica di un testo, che nella scuola secondaria di I grado è un passaggio fondamentale). La dimensione ideativa, che è fondamentale nella scrittura, è del tutto assente e anzi molto compressa dal fatto che, come si dice più volte nella bozza,  nella scuola media si scrive secondo “modelli” da imitare (le onnipresenti tipologie testuali). 

Ora, il Quadro di riferimento ovviamente tiene conto delle Indicazioni nazionali per i contenuti, ma sarebbe importante che anche le Indicazioni tenessero presenti i Quadri di riferimento per le competenze, e che si creasse fra i due sistemi una sinergia, soprattutto se essa è utile alla scuola. So per esperienza che suscita grande interesse nelle scuole la scoperta dei Quadri di riferimento come occasione per ripensare almeno alcuni aspetti specifici delle materie scolastiche, appunto nella direzione delle competenze. Per fare un esempio, il valore semantico dei connettivi e dei coesivi (pronomi, determinativi, segnali di scansione del testo, congiunzioni) è argomento molto sottovalutato dalla didattica tradizionale (non c’è il “capitolo”), mentre le prove Invalsi mostrano che si tratta di aspetti basilari sia per capire la logica di un testo, sia per scrivere. Il settore delle “competenze pragmatico-testuali” attualmente è abbastanza sguarnito come oggetto di insegnamento (si suppone forse che sulla “coerenza” non ci sia nulla da apprendere a scuola). Questi “oggetti” diventano chiarissimi quando si traducono in “quesiti” che pongono agli allievi specifiche difficoltà, e gli insegnanti se ne rendono perfettamente conto. La didattica “per competenze” smette allora di essere oggetto (spesso fumoso) di corsi di aggiornamento e diventa un’esperienza possibile.

Forse per non finire nel solito ginepraio terminologico, il testo delle Indicazioni attualmente in esame rifugge dal termine “competenza” se non per la citazione delle competenze-chiave europee, ma questo a mio avviso costituisce un limite, visto appunto che alcune di queste competenze sono oggetto di misurazione per tutte le scuole d’Italia nel primo e nel secondo ciclo. Coerentemente, nella bozza delle Indicazioni il profilo in uscita segue abbastanza esplicitamente la distribuzione delle materie scolastiche, e non utilizza il modello usato per la scuola superiore, dove nel profilo comune vi è la descrizione delle dimensioni (metodologica, argomentativa e comunicativa) cui tutte le materie concorrono ognuna per la sua parte. Questa scollatura potrebbe produrre effetti negativi sulla organicità del percorso complessivo.

Concludendo su questo punto, sarebbe ancora possibile, nel profilo in uscita e negli OSA, precisare  almeno i riferimenti alla lettura, attualmente espressi in termini generici, tenendo conto degli aspetti oggetto di misurazione. Sempre nel profilo, per la lingua italiana andrebbero presentate per la scrittura le competenze morfo-sintattiche, lessicali e logico-argomentative, e non solo aspetti come “esprimere idee” oppure usare un certo “registro”. Questo indicherebbe agli insegnanti dei settori che è ormai importante presidiare.

 

Un secondo punto mi pare migliorabile: per italiano, proprio a causa del vecchio modello delle “quattro abilità più la riflessione”, permane una vecchia spaccatura ormai piuttosto datata, secondo la quale la riflessione sulla lingua non è collegata alle abilità. In teoria viene detto che la riflessione linguistica deve contribuire a capire e produrre testi: in che modo, non si sa (vedi il caso dei connettivi e coesivi sopra citato, o l’assenza dal paragrafo sulla scrittura degli “elementi sintattici e quelli relativi all’organizzazione logico-concettuale del testo”). Per la grammatica il modello universalmente vigente a scuola è ancora quello della classificazione. È vero che negli OSA è presente la formulazione “Riconoscere in frasi [corsivo mio] o brevi testi le parti del discorso, o categorie lessicali”, ma temo che in due o tre cultori della materia si accorgano dell’implicito teorico, che cioè le parti del discorso si riconoscono per la loro posizione nella frase. Questa prospettiva, che supera l’impropria frattura fra morfologia e sintassi praticata a scuola e introduce l’analisi funzionale, è prevista nel Quadro Invalsi ed è già comparsa in diversi quesiti.

Nell’ambito dell’insegnamento della grammatica molte cose si stanno muovendo, soprattutto perché il modello descrittivo-analitico della lingua, costituito da definizioni, elenchi, nomenclature, tassonomie meramente classificatorie, si è rivelato inefficace, molto spesso scorretto, e soprattutto poco formativo. Vi sono attualmente precise proposte che provengono dal mondo della ricerca teorica e applicata, che – anche qui – alcuni quesiti della prova Invalsi hanno proposto in forma discreta ma chiara (supportando le richieste meno scontate con perifrasi, esempi esplicativi, precisazioni terminologiche). La resistenza di molti insegnanti e il fatto che un’alternativa alla tradizione non sia ancora molto diffusa nel mondo della scuola richiedono un intervento intelligente nelle Indicazioni, con la preoccupazione di favorire un rinnovamento coerente con l’esigenza che gli studenti raggiungano più alte competenze comunicative e linguistiche. Da qui a mio parere l’urgenza di non ridurre lettura e scrittura a una questione di tipologie, formati (ad esempio i testi “non continui” comparsi nei traguardi), registri ecc.

Il passaggio da abilità a competenze non è una questione di lana caprina, ma è il frutto di una evoluzione che ci vede coinvolti, nell’ultimo decennio, a curare gli esiti in uscita in termini di padronanza linguistica. È importante che un ragazzo in crescita abbia a che fare con oggetti specifici di conoscenza a lui adeguati, che essi entrino nel suo orizzonte a livelli progressivi di difficoltà, in modo che gli sia possibile imparare a maneggiarli e a tenerne conto. La padronanza allora è più di un grado maggiore o minore di abilità nel fare, ma comprende la consapevolezza di quali sono gli elementi rilevanti e di qual è il loro ruolo, per muoversi in modo responsabile nel mondo che lo accoglie. 

 

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