Che paura una scuola perfetta! Soprattutto una scuola che si propone di rendere perfetti i ragazzi. È proprio questa la scuola protagonista di L’ultima possibilità di Seita Parkkola in libreria per San Paolo. Il romanzo appartiene al genere distopico, così in voga in questi tempi nella letteratura per ragazzi. Se l’utopia rappresenta il progetto irrealizzabile di una società perfetta e giusta, la distopia è il suo contrario: un luogo cattivo dove la società e ingiusta e malvagia. Il genere distopico tende a cogliere gli aspetti negativi e più critici del presente per amplificali e proiettarli nel futuro, come per dirci guardate cosa accadrà se non cambiate rotta subito. Soprattutto nei suoi effetti sui più giovani. Non tutto in questo oceano letterario è buono, anzi vi ritroviamo spesso racconti cinici e disillusi, permeati da un nichilismo di fondo. Non è così in questo buon romanzo.



Borea, il protagonista della storia, ha dodici anni. Per sua definizione “niente male come età, anche se per un ragazzo può essere la cosa peggiore che gli possa capitare. Peggiore che farsi rapire da trafficanti di organi o restare per sempre in castigo a scuola dopo le lezioni. Avere dodici anni è un tamponamento a catena di otto automobili. È restare impigliato sulle montagne russe con la testa in giù”.



Questo ragazzo che ci sta subito simpatico per la sua voglia di volare sullo skate (che gli viene prontamente confiscato), ma anche di volare metaforicamente nella vita, ha inanellato una tale serie di espulsioni e note a scuola da essere spedito alla Casa delle Possibilità. Come dice il nome, si tratta, appunto, dell’ultima possibilità; non per nulla l’altro nome della scuola è proprio l’Ultima Chance. Un punto di non ritorno oltre il quale esistono solo i Ragazzi Perduti, abbandonati da tutti e il cui nome diventa impronunciabile per sempre. Ragazzi cancellati da ogni mappa, sociale e territoriale, che diventano invisibili, se non inesistenti.



India, coprotagonista del romanzo, è una di questi, capobanda e singolare angelo custode di un gruppetto di ragazzini come lei, espulsi dal sistema. La sua base è la Fabbrica, un vecchio edificio abbandonato, che dalle finestre della Casa delle Possibilità ammicca a Borea, rappresentando presto per lui il segno tangibile di una libertà tanto desiderata quanto, forse, possibile. Assieme a India e agli improvvisati nuovi amici il ragazzo scoprirà il tremendo segreto custodito nei sotterranei della scuola, una scomoda verità che tiene incollato il lettore fino al finale, catartico e liberatorio.

Sono diversi i piani di lettura di questo avvincente e convincente romanzo che arriva dalla lontana, ma fertile almeno dal punto di vista della produzione letteraria per ragazzi, Finlandia. Ci si può fermare alla storia, ben costruita e coinvolgente. 

Si può anche tentare uno sguardo più sociologico, sul destino di una civiltà che fa del politicamente corretto, del rispetto di pure formalità e dell’omogeneità il suo punto distintivo, il discrimine fra normale e patologico, fra bene e male. Ma si può affrontare più propriamente la questione educativa: la funzione della scuola, il posto che vi occupano i ragazzi, il loro rapporto con gli adulti e con l’istituzione stessa. 

La Casa della Possibilità infatti sa cosa vuole: formare cittadini puri, che sanno comportarsi secondo i dettami sociali, perfettamente omologati alle regole. Sa come ottenere ciò che vuole: attraverso una serie crescente di grandi e piccoli divieti (non si usano i pennarelli, non si alza la voce, non si dice mai no) ed un sistema di controllo dell’ordine e della disciplina basato sull’umiliazione e sulla crudeltà reciproca fra ragazzi. E sa anche di cosa ha paura: di ragazzi che pensano in proprio, che cercano la soddisfazione, che non si accontentano delle formule precostituite, sterili e crudeli degli adulti, che hanno passioni imprevedibili e non imbrigliabili. La Casa delle Possibilità è perfettamente disumana, ideologica, mielosamente violenta (i toni sono sempre pacatissimi), funzionante e funzionale al sistema. Ci dice come una scuola non deve essere, ci dice come non “basta che funzioni”, per dirla con Woody Allen, perché esiste un funzionamento contro la persona.

Come in tutti i romanzi distopici i ragazzi sono essenzialmente soli o in balia di adulti irresponsabili, inaffidabili, cinici e spietati. Ne L’ultima possibilità c’è qualcosa di nuovo, però: molti adulti, ad esempio i genitori, sono vittime loro stessi di un sistema in cui sono incastrati e a cui non riescono ad opporsi. Il figlio che va male, coincide con la loro espulsione sociale e la condanna a lavori, molto simili a quelli forzati. 

Come nella migliore tradizione fiabesca la salvezza arriverà proprio dai più piccoli, da quelli che ancora riescono a conservare lo sguardo desto sui propri desideri e sulla propria esigenza di libertà, ossia di felicità nel reale. Succede così a Pollicino e ai suoi fratelli che liberano dalla povertà la loro famiglia lottando contro l’Orco e succede lo stesso a Borea e alla sua sgangherata banda capaci insieme di riaprire gli occhi agli adulti per un futuro comune, nuovamente possibile.